All’osservatore attento non sarà sfuggito che, tra Ventotene e Las Vegas, ci sono differenze: sull’isola pontina, per dire della più evidente, un’insalata, scarna verde e da asporto, costa più che nella città degli stravizi. Ed è molto raro che, passeggiando in centro, ci si imbatta in Venezia e anche nella Tour Eiffel. La più interessante: contrariamente a quanto si dice di Las Vegas, quello che succede a Ventotene non rimane a Ventotene.
Spesso si sentono gli indigeni che lo sostengono: «Quello che succede qui, poi succede nel resto d’Italia». Se la teoria (che chiameremo Teoria del Principio di Ventotene®) fosse confermata, vorrebbe da dire che in principio era l’isola, altro che Verbo, altro che Big Bang: è Ventotene l’origine del nostro presente, l’isola del giorno dopo a cui guardare per scoprire cosa ci riserva il futuro.
Scavando negli archivi e ascoltando testimonianze di fonti che, visti i tempi, hanno preferito l’anonimato, è venuto fuori che una cosa effettivamente successa a Ventotene, e poi diffusa nel resto d’Italia e non solo, è il Manifesto di Ventotene. Così chiamato in quanto redatto non a Las Vegas bensì a Ventotene.
Lo scrissero nel 1941 gli ivi confinati Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi immaginando «un’Europa libera e unita»: che le loro idee non siano rimaste confinate sull’isola lo prova, per esempio, il fatto che oggi, in Europa, le insalate, pur costando meno che a Ventotene, si possono pagare con la stessa moneta, che non a caso si chiama Euro.
ANSASiamo tutti napoletani
Non solo l’Europa unita: in base alla Teoria del Principio di Ventotene® anche i riflussi nazionalisti che oggi la stanno mettendo in crisi avrebbero avuto origine qui. Nel 1934. Lo conferma un’altra frase, assai in voga sull’isola: «Noi ci sentiamo campani, non laziali», puntualizzano, precisano, premettono, sottolineano e ribadiscono gli indigeni alludendo alla catastrofe del 1934, quando il Mussolini scippò l’isola alla provincia di Napoli e la assegnò alla neonata Littoria, aka Latina, un ovo sodo che ai ventotenesi, e sono passati 91 anni, ancora non gli va giù.
Prima di essere copiata ovunque, pure l’idea di raddoppiare i prezzi di qualsiasi cosa dopo il Covid l’hanno avuta a Ventotene: costrette al confino vacanziero sul suolo patrio, frotte di eroici turisti italiani scoprirono che tra Ischia e Ponza c’era un’isoletta semplice e tranquilla, di bellezza sobria, senza fronzoli e fumisterie, dove si mangiava bene e si spendeva il giusto. Il risultato è che oggi si mangia sempre molto bene ma si spende come a Milano (che ha copiato l’idea perfezionandola: si spende tanto e si mangia male).
Commentando l’Insalata Gate, un aficionado dell’isola, che di parole un po’ se ne intende, usa l’aggettivo «piratesco» per descrivere l’approccio di molti esercenti locali nei confronti dei turisti. Lo dice chiacchierando davanti all’Ultima spiaggia: l’unica libreria dell’isola è il centro attorno a cui gravita la vita culturale e non solo, con personaggi che piacerebbero a Paolo Conte e Hugo Pratt, facce in prestito e nasi tristi, cacciatori di murene, uomini delusi dall’amore, artiste di strada, fuggitivi, psicologhe, maestri di spaghetti con le vongole, noti fumettisti in pensione.
I libri
La anima Fabio Masi, libraio fuoriclasse la cui bravura è provata sia dalla libreria sempre piena, sia dalla spiaggia, dove pare di essere in un’ucronia dickiana in cui a vincere la guerra mondiale sono stati i libri, non gli smartphone. Nell’attesa che, per la Teoria del Principio di Ventotene®, questi fenomeni fantascientifici varchino i confini dell’isola, per un paradosso quantistico, in Italia il numero di libri venduti ogni anno è inferiore al numero di festival letterari (il cui obiettivo, evidentemente, non è vendere i libri).
Ce n’è uno anche a Ventotene, si chiama Gita al faro e prevede che tre scrittori (in questa edizione Annalena Benini, Paola Caridi e Wu Ming 1), dopo una settimana sull’isola, ne scrivano in un inedito svelato in pubblico, durante la serata conclusiva, nel giardino prospicente il faro (da cui la citazione woolfiana).
Succede che, proprio quella sera, due Italie ostinate e contrarie collidano a Ventotene: da una parte quella che fa l’experience letteraria e, in silenzio riflessivo, ascolta i tre scrittori, accompagnati da un pianista, leggere i loro inediti – il primo, un racconto di intimità familiare; il secondo, una denuncia dell’osceno massacro in corso a Gaza; il terzo, un’epopea che mette insieme intimità familiare e osceno massacro. Dall’altra parte dell’insenatura, di là dal mare e tra gli alberi, l’Italia che fa l’experience godereccia, sbracando a un ricevimento nuziale di eleganza gatsbyana.
Succede, allora, che il silenzio sotto il faro, rotto solo dal pianoforte, dalle voci degli scrittori e dal ronzio delle zanzare, venga fracassato dalla caciara nuziale, con karaoke-divertentismo, volume della musica a livello Wanna Marchi e cori avvinazzati.
Ne risulta una stereofonia in cui le due tracce audio, mescolandosi, generano un remix bipolare con bambini dilaniati dalle bombe fuggire sì ma dove? za’-za’ Buchenwald che confusione sarà perché ti amo genocidio ritmo balneare sudari appesi a far l’amore comincia tu mentre muoiono di fame voglio andare ad Alghero in compagnia di Netanyahu e allora dammi una lametta che mi taglio le vene.
La caciara
Tra gli italiani al caviar del Team Gita al faro si accennano scuotimenti di testa disapprovanti il cattivissimo gusto di quelli del Team Grande Gatsby e ci si scambia occhiatine che, nel codice delle occhiatine scambiate sotto il faro di Ventotene, vogliono dire, tutte, la stessa cosa: Ferie d’agosto (film del 1996 girato indovinate dove, come pure il sequel del 2024, con scena premonitrice di rumoroso matrimonio coatto girata nella stessa incantevole location in cui si sta svolgendo quello del Team Grande Gatsby).
In realtà l’inquinamento acustico rappresenta l’eccezione: la regola, a Ventotene, è un silenzio poco italiano. In riva al mare, si può addirittura fare l’experience di ascoltare il fantomatico «sciabordio delle onde», coperto solo dal garrito dei gabbiani. Sono loro i veri signori dell’isola e dagli scogli è possibile osservarne abitudini e comportamenti: volare, dormire, mangiare, accudire la prole e attaccare gli umani che hanno la brillante idea di avvicinarsi ai piccoli per il solo gusto di farlo. E di umani che hanno la suddetta idea se ne contano almeno due o tre al giorno: dagli scogli, infatti, è possibile osservare anche i comportamenti e le abitudini di alcuni esemplari della specie homo sapiens sapiens che, lasciato l’habitat urbano, per quindici giorni all’anno migrano verso località marine dove entrano in contatto con la famosa “natura”, a cui si rapportano come i bulletti delle medie, dando fastidio a granchi, pesci, insetti, piante, sabbia, ignorando i cartelli di divieto per salire sugli scogli su cui nidificano gli uccelli e tuffarsi a bomba.
Una versione in sessantaquattresimo del modo in cui, in questa parte di mondo, percependoci esseri superiori, ci siamo relazionati con l’ambiente circostante e le creature ivi residenti, e oggi si vede come sta andando a finire.
Il come sta andando a finire, pure quello ha avuto inizio a Ventotene: succede che l’isola lentamente si sbriciola. Succede perché è fatta di tufo e «non piove più come in passato», come racconta una contadina che fa anche da guida alle rovine romane, bravissima: «La quantità di acqua è la stessa, solo che ora viene giù tutta in una volta, il tufo si inzuppa e col sole si crepa e si sgretola».
Le falesie franano in mare, una strada è stata chiusa per lo smottamento, molte calette non sono più accessibili da terra, qua e là case fratturate e puntellate. Se quello che succede a Ventotene poi succede in Italia, forse è il caso di chiederci se siamo ancora in tempo per impedire che l’isola scompaia, portandosi dietro manifesti, insalate e tutto il resto.
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