di
Francesco Battistini
Il leader di Kiev e l’«ultimatum» di Trump sulla firma al piano di pace «entro giovedì». Le telefonate ai leader europei, quella al vicepresidente Usa Vance, poi il discorso alla nazione su Telegram
DAL NOSTRO INVIATO
KIEV – O la pace, o la dignità. O i carboni ardenti della resa, o un inverno al freddo e al gelo.
Letti i 28 punti del Piano Trump, Volodymyr Zelensky aveva già fatto capire mercoledì sera che il suo non era ancora un sì, ma nemmeno un no. E mentre molti dei suoi chiudevano («assurdo e inammissibile») a ogni possibile concessione contenuta nella bozza d’accordo – scritta da russi e americani, tagliando fuori Kiev e gli europei -, il presidente ucraino ci ha pensato una notte. Per tornare poi sulla tribuna dei social, come fece fin dall’inizio della guerra, e rilanciare con un messaggio Telegram: «Siamo ora in uno dei momenti più difficili della nostra storia. La pressione sull’Ucraina è al suo massimo. L’Ucraina potrebbe adesso trovarsi di fronte a una scelta molto difficile: o la perdita della sua dignità o il rischio di perdere un partner chiave», come l’America. Il dilemma è tutto lì, avverte Zelensky: ingoiare «i difficili 28 punti» del piano, oppure affrontare «un inverno estremamente difficile, il più difficile, e ulteriori rischi».
L’incubo di quella notte, il rischio peggiore, quando agli americani che spingevano per evacuarlo «Ze» rispose di volere armi, non un passaggio in elicottero, e diventando così una bandiera: «L’Ucraina non deve rivivere il déjà-vu del 24 febbraio – scrive ora il presidente -, quando avevamo la sensazione di essere soli. Quando nessuno poteva fermare la Russia, se non i nostri coraggiosi cittadini, che si sono messi come muro contro l’esercito di Putin».
La situazione oggi è diversa e il leader specifica quali siano i pericoli: «Una vita senza libertà, senza dignità, senza giustizia. E per noi, credere a chi ci ha già attaccato due volte».
Ucraina-Russia, le ultime notizie sulla guerra in diretta
Ma il fronte va male e Trump ha fretta di chiudere entro l’anno. La pressione di Washington è enorme, s’avverte in una chiamata al vicepresidente J.D.Vance, che avrebbe addirittura minacciato d’interrompere subito i rifornimenti d’armi, se l’Ucraina non abbassasse la testa entro il Giorno del Ringraziamento, il prossimo giovedì 27. «La deadline è quella», conferma lo stesso Trump. Il post di Zelensky è dunque qualcosa a metà fra l’appello al popolo e una mezza concessione («la nostra sovranità, la nostra indipendenza, la nostra terra, il nostro popolo e il futuro ucraino. Faremo tutto il possibile affinché il risultato sia la fine della guerra. E non la fine dell’Ucraina, della pace in Europa e della pace globale»), con un’avvertenza: vigilerò «perché, fra tutti i punti del piano, non vengano trascurati almeno due valori fondamentali: la dignità e la libertà degli ucraini. Tutto il resto si basa su questo».
APPROFONDISCI CON IL PODCAST
Messo all’angolo, dopo una serie di telefonate col cancelliere tedesco Friedrich Merz, col premier inglese Keir Starmer e col presidente francese Emmanuel Macron, è evidente che Zelensky voglia passare la palla agli alleati più sicuri: «Ho appena parlato con gli europei – dice -, contiamo sugli amici europei, che comprendono chiaramente che la Russia non è lontana, ma vicina ai confini dell’Ue, che ora l’Ucraina è l’unico scudo che separa una vita europea confortevole dai piani di Putin». E quindi siano anche i 27 a decidere il da farsi entro il 27: «L’Europa era con noi, crediamo che l’Europa sarà con noi».
C’è di sicuro una spaccatura nell’entourage di Palazzo Mariinskij, scioccato dagli ultimi scandali per corruzione. Il tempismo inchieste giudiziarie-pianoTrump non sfugge ai più. E una corrente del partito – il presidente della commissione Esteri, Oleksandr Merezhko, assieme al viceministro Sergiy Kyslytsya – considera inaccettabile qualunque cedimento al volere di Putin, ben tradotto dal piano americano.
La strategia zelenskiana è però quella di chi si sente indebolito. E di sedersi comunque, sempre, a vedere le carte. Anche a costo d’insulti e umiliazioni: «Non daremo al nemico motivo di dire che l’Ucraina non vuole la pace, che è lei a ostacolare il processo e che l’Ucraina non è pronta per la diplomazia».
Il bivio è di fronte, ora è pubblico. E dunque «si lavorerà rapidamente, oggi, sabato e domenica, per tutta la prossima settimana e per tutto il tempo necessario, 24 ore su 24, 7 giorni su 7». L’impegno d’esaminare tutt’e 28 i punti, senza «tradire gli interessi nazionali».
Una decisione drammatica. Non sarebbe facile, spiegare agli ucraini che sono morti per difendere territori già perduti. E che qualcuno s’è pure arricchito, mentre gli altri combattevano.
21 novembre 2025 ( modifica il 21 novembre 2025 | 18:58)
© RIPRODUZIONE RISERVATA