Abituata a salire sul palcoscenico e a trasmettere con la voce una passione che negli anni le ha regalato premi e riconoscimenti, Matilde Montanari, 20 anni di Forlì, nel 2024 ha conquistato anche l’Ariston, celebrando con i Santa Balera i settant’anni di ‘Romagna Mia’ al Festival. Eppure, venerdì 14 novembre, l’emozione l’ha raggiunta eccome: negli studi di Cosascuola Music Academy ha presentato il suo primo Ep, “Grazie per il trauma”, un lavoro autentico e coraggioso che sceglie la verità invece del filtro, la vita invece della perfezione.

Cinque brani — Fiori (0), Ogni goccia del mare, Disordine, Post-it e Come fanno i gatti — nati lungo un percorso di crescita personale e musicale, registrati in presa diretta per conservare la spontaneità e l’intensità del live. «Non voglio sembrare perfetta, voglio sembrare vera», ha confidato l’artista. In un panorama dominato da intelligenza artificiale e omologazione sonora, “Grazie per il trauma” diventa così un piccolo atto di resistenza: la prova che la voce, la musica dal vivo e le imperfezioni possono ancora fare la differenza.

Matilde, “Grazie per il trauma” è un titolo molto forte. Si parla di un trauma positivo o negativo?
“Il titolo nasce dalla mia esperienza, ma non vuole essere solo dolore. È un ringraziamento ironico e sincero a tutto ciò che mi ha fatto crescere. Il trauma fa male, ma insegna, cambia, fa capire chi vogliamo essere. È un dolore che, se lo attraversi davvero, può diventare forza e consapevolezza”. 

Lei è una cantante già nota al pubblico forlivese, e non solo, e che sta facendo incetta di premi. Quali sono le emozioni nel pubblicare il primo Ep?
“Per me è tutto nuovo, davvero. Ogni volta che qualcuno parla di me come ‘cantante’, mi volto ancora per controllare che stiano parlando con me. Ho iniziato a studiare canto dieci anni fa, quasi per bisogno, e oggi, a vent’anni, avere un Ep da ascoltare è ancora un sogno grande. C’è emozione, paura, gratitudine: è il mio primo vero pezzo di pelle lasciato là fuori, e ogni volta che ci penso mi sento fragile e incredibilmente viva.”

Il suo EP punta molto sull’autenticità e sulle imperfezioni. Qual è stata la sfida più grande nel mostrarti “senza filtro”?
“Mostrarmi così è stata la parte più difficile e allo stesso tempo più liberatoria. A volte vorresti nasconderti dietro note perfette o arrangiamenti curati, ma io volevo che si sentisse la vita reale: i respiri, le imperfezioni, i momenti sospesi. È stato un atto di coraggio, perché non è semplice aprirsi così a chi ascolta. Ma è anche il senso della mia musica: vera, fragile, umana”. 

Perché il brano ‘Fiori (0)’ apre l’Ep? Cosa racconta?
“‘Fiori (0)’ non è una vera canzone, è un invito. È come una soglia, un respiro prima di entrare nel mio mondo. Racconta la resilienza semplice: non ho bisogno che i fiori mi vengano dati, perché dopo ogni perdita il sole torna sempre e i fiori ricrescono da soli. È il mio modo di dire: benvenuti nel mio percorso”.

C’è una frase tra i tuoi brani che considera il vero centro emotivo del progetto?
“Sì. In ‘Ogni goccia del mare’ canto: ‘Ho l’estate in testa e un freddo polare dentro.’ Per me questa frase è il cuore dell’Ep: quella sensazione di essere in bilico tra la voglia di vivere e il peso delle cose. È da qui che è partito tutto”.

Come sono nati questi brani?
“Sono nati tutti in momenti diversi, spesso come un bisogno urgente di scrivere, di respirare, di dare voce a emozioni che non riuscivo a trattenere. Alcuni nascono dal dolore, altri dall’osservazione, altri ancora da piccoli lampi di autoironia o dolcezza. Tutti però hanno un filo comune: la ricerca di verità, anche quando fa male”.

Quali tra “Ogni goccia del mare”, “Disordine”, “Post-it” e “Come fanno i gatti” ti suscita maggiori emozioni? 
“Ognuna mi rappresenta in un modo diverso, ma se devo scegliere dico ‘Post-it’. È la canzone in cui mi riconosco di più perché racconta esattamente come sono: penso veloce, ma mi muovo al rallentatore. Vivo tra liste, appunti sparsi, idee che arrivano tutte insieme… e poi faccio il mio passo, lento ma deciso. ‘Post-it’ è la mia parte più sincera e anche quella più tenera: quella che prova a ridere dei propri incastri e a mettere ordine nel modo imperfetto che conosco”. 

Dice che non vuoi sembrare perfetta, ma vera. Quanto è difficile restare autentici in un panorama dominato dall’omologazione e dall’intelligenza artificiale?
“È difficilissimo, perché sembra che tutto debba essere calcolato, perfetto, replicabile. Ma io voglio che la mia voce sia un respiro umano, non un algoritmo. Voglio che chi ascolta senta la mia fragilità, le mie emozioni vere, e non una versione filtrata di me. Essere autentici è una sfida continua, ma è l’unico modo in cui posso sentirmi a casa nella mia musica.”

Se potesse collaborare con un artista italiano o internazionale, chi sceglierebbe?
“In Italia sceglierei Elisa. La seguo da sempre e ammiro la sua sensibilità, la sua forza gentile, il modo in cui trasforma la fragilità in arte. All’estero direi Raye. Trovo incredibile il suo coraggio nel raccontare tutto, anche le parti più scomode. È elegante, vera e profondissima. Sarebbe un sogno poter lavorare con artiste così”. 

Cosa ci sarà dopo “Grazie per il trauma”? Hai già nuove canzoni in cantiere?
“Il diario è pieno, le idee girano in loop. Sto già portando in giro il brano ‘Loop’ e ho tanti altri progetti in cantiere, anche se non svelerò nulla per adesso. Non ho fretta: ogni brano nasce quando vuole lui, ma qualcosa sta arrivando. Voglio crescere, sperimentare, capire meglio chi sono come artista. Questo EP è solo l’inizio, una porta che si apre, e io voglio attraversarla tutta, con curiosità, passione e cuore aperto”. 






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