Due fratelli, uniti dalla stessa passione, dalla stessa doppia scelta strada-pista, ultimamente anche dalla necessità di cambiare squadra il che non è sempre un passaggio leggero per le sue implicazioni. Matteo e Sara Fiorin si ritrovano ad attendere il via del 2026 con tanti punti in comune. Lontani geograficamente, indirizzati verso obiettivi differenti ma legati come solo chi ha lo stesso sangue può essere.
Matteo in questa settimana è impegnato alla Sei Giorni di Gand, nella prova U23 con Davide Stella e la sua presenza non è casuale: «Per me è la prima volta qui e si sente che l’atmosfera è diversa da ogni altra gara su pista. Speriamo nei prossimi anni di correre anche quella elite, perché c’è un seguito fantastico».


Come giudichi in generale la tua stagione, sia per la strada che per la pista?
Bisogna fare due discorsi distinti. Per quanto riguarda la strada, di sicuro non è stato un inizio stagione ricco di soddisfazioni, nel senso che speravo di riuscire a vincere prima del 25 aprile quando ho vinto la prima corsa. E’ stato un anno dove sono migliorato tanto perché ho avuto la possibilità di allenarmi, cosa che l’anno scorso non era successa perché sono stato fermo parecchio tempo a causa degli infortuni. Ho raggiunto una buona condizione fino a inizio agosto, ma non ho avuto impegni per sfruttarla, poi a inizio settembre in una gara di rifinitura a Verona sono caduto, mi sono rotto la clavicola e lì è finita la mia stagione.
E per la pista?
Da inizio giugno in poi mi ci sono dedicato molto, anche perché gli impegni su strada scarseggiavano e quindi Salvoldi mi ha dato tanto spazio, mi ha fatto correre molto in giro per l’Europa e sono arrivati i risultati, come il bronzo nell’inseguimento a squadre al campionato europeo U23 di Anadia, quindi posso essere solo che contento. Dopo l’europeo ho fatto due 6 giorni, a Pordenone e Fiorenzuola e ho notato di essere migliorato davvero tanto su quel tipo di sforzo in pista di nelle gare di gruppo. Penso che sia la strada giusta.


Quando hai cominciato a pensare al cambio di società?
E’ una scelta maturata abbastanza naturalmente, visto che la MBH Bank, passando fra le professional, ha dovuto fare delle scelte. Io non sono riuscito a esprimere al meglio le mie potenzialità, quindi non si è mai concretizzata la possibilità di passare professionista. Quando poi sono stato contattato dalla Solme Olmo sapevo che aveva preso molti miei compagni di nazionale in pista, quindi ho pensato che fosse la scelta migliore.
E’ un po’ una scelta presa in comune accordo anche con Salvoldi, per potervi avere sotto mano con più facilità?
Credo che Giampietro Forcolin parlasse più dei ragazzi Arvedi che ha preso. E’ certo però che non avrò bastoni fra le ruote quando chiederò di andare in pista, ma non li ho mai avuti neanche quest’anno, quindi da quel punto di vista cambierà poco per me. E per quanto riguarda invece il discorso strada, magari avrò più occasioni di emergere con un treno ben strutturato. Ovviamente bisognerà trovare quell’intesa che serve, poi non sono l’unico velocista, quindi dovremmo anche fare delle scelte fra me, Anniballi e Fantini, ma ci conosciamo da tempo e non ci saranno problemi per decidere chi dovrà fare la volata e chi dovrà tirarla.


Cambiate squadra sia te che tua sorella, chi dei due si sente un po’ più ad affrontare un salto nel buio?
Sono due situazioni diverse, non ne abbiamo parlato. Lei viene da una WorldTour che è fallita, quindi è stata una scelta obbligata. Per quanto riguarda il salto nel buio, di sicuro nessuno ha la possibilità di fare una scelta sapendo effettivamente a cosa andrà incontro. Credo che tutti i cambi di casacca abbiano delle incognite.
Cosa ti aspetti ora dalla nuova stagione?
L’infortunio di settembre mi ha rovinato i piani, impedendomi di poter andare ai mondiali di Santiago. Dove avrei potuto provare a giocarmi un posto, anche se fortunatamente la concorrenza in questo momento è molto alta. Vorrei per questo ancor più partecipare all’europeo a inizio febbraio, perché sono più avanti nella preparazione rispetto a tutti, a causa dell’infortunio ho praticamente fatto un’off season molto anticipata. E quindi credo di poter arrivare con una buona condizione all’europeo. Su strada potermi giocare le carte in ogni volata a cui partecipo.


Sara va in Spagna, ma sarà come casa
Matteo giustamente sottolinea come le premesse per il cambio di squadra siano diverse, Sara è stata quasi costretta a trovarsi un nuovo team, approdando alla Laboral Kutxa. Lei comunque cerca di prenderla con filosofia: «In realtà mi sono trovata bene avevo preso le misure a questo mondo già dalla UAE, quindi non mi sono trovata in un ambiente totalmente nuovo. La stagione era iniziata alla grande, avevo fatto buoni piazzamenti all’UAE Tour, ho viaggiato tantissimo e devo ritenermi soddisfatta anche con la vittoria in El Salvador il 5 aprile».
Poi cosa è successo?
Al Giro d’Italia io puntavo alle tappe piatte, ce n’erano due e sono rimasta un po’ delusa dalla tappa con il passo del Tonale perché dopo essere rientrata nel gruppo, c’è stata la caduta in rotonda e fortunatamente non sono andata per terra. Sono riuscita a rimanere in piedi, ma il gruppo per la vittoria era ormai andato e mi è un po’ dispiaciuto perché un bel piazzamento secondo me sarei riuscita a portarlo a casa. Nella seconda tappa piatta invece non avevo proprio le gambe.


Poi però sei scomparsa dal calendario, una sola gara in Maryland…
La settimana dopo avevo l’europeo su pista ad Anadia, dove ho chiuso seconda nello scratch. Poi non avevamo più gare, la squadra si è trovata in difficoltà. Io ho fatto qualche gara su pista in estate e avrei dovuto finire lì, per l’America sono stata chiamata il giorno prima di partire perché una mia compagna si è sentita male.
Il contatto con la formazione basca quando è nato?
Fine settembre. Mi avevano già cercato l’anno scorso e mi ha fatto davvero piacere che si siano ricordati, vuol dire che credono nelle mie potenzialità e vedono in me una buona opportunità.
Quanto ha influito il fatto che si sta costruendo lì, nella squadra dei Paesi Baschi, un nocciolo importante tutto italiano?
Ci ho pensato, è una cosa che mi rende anche un po’ più tranquilla. Il fatto di poter parlare la mia lingua fa sempre piacere in squadra. Anche perché quest’anno ero l’unica italiana. Avere qualche compagna è sempre bello, soprattutto perché vivono anche vicino a me, quindi avrò l’occasione di allenarmi spesso con loro.


Nella scelta del team quanto ha influito anche la possibilità che ti lascino fare la pista?
E’ un argomento che tiro sempre fuori in sede di contrattazione, perché è una cosa a cui tengo molto, la pratico fin da bambina e abbiamo esempi in Italia che dimostrano che si possa integrare bene con la strada. Nella squadra basca non ci sono molte altre che la fanno, ma per loro conta che non intacchi il calendario del team. Appena sapremo anche gli impegni su pista mi gestirò per fare il meglio in entrambe le situazioni.
La squadra nella quale sei entrata è veramente una multinazionale, perché ci sono molte nazioni che ne fanno parte e il gruppo italiano è quello più ricco, anche più delle spagnole stesse…
Io mi aspetto due anni di crescita in cui vorrei un po’ sistemare ogni tassello, a partire dalla preparazione, dalla nutrizione, anche a livello mentale. La preparazione è già avviata, ho anche cambiato preparatore e mi sto trovando molto bene. Sono sicura e fiduciosa che sia l’anno del grande salto di qualità.
Con Matteo vi trovate a cambiare squadra su basi differenti. Vi siete confrontati su questo tema?
No, sinceramente non ne abbiamo parlato, forse perché è avvenuto abbastanza naturalmente. L’ho visto molto tranquillo, poi è più bravo di me ad adattarsi alle nuove situazioni. E’ una sfida come lo è ogni cambiamento, che per me può sempre portare a qualcosa di buono.