di
Francesco Battistini
La regista e poetessa Cilyk: «Niente patti col diavolo». «Per cosa abbiamo combattuto?» scrive un soldato, che come molti si sente tradito
DAL NOSTRO INVIATO
KIEV – Che cos’ha pensato, ascoltando Volodymyr Zelensky che diceva: ucraini, dobbiamo scegliere? «Che è stata la popolazione a salvare l’Ucraina sull’orlo dell’abisso durante l’invasione e che è importante non dimenticare quanto sia pericolosa l’insoddisfazione della nazione. Che stiamo attraversando un periodo difficile, per uno scandalo di corruzione. Che c’è la pressione esercitata dal piano russo per la resa, mascherato da proposta Usa…». E quindi, no, a Iryna Cilyk «quel discorso non ha fatto una buona impressione. Soprattutto dove dice che non è il momento di litigare fra noi. In realtà, servono messaggi più trasparenti: l’Ucraina, a differenza della Russia, è un Paese in cui la volontà del popolo rimane la forza trainante».
Regista e poetessa pluripremiata nel mondo, moglie d’uno scrittore (Artem Check) che combatte al fronte, Iryna Cilyk è scettica: «Non credo che questo piano possa essere firmato. Troppo irrealistico. Sì, siamo in una posizione di grande svantaggio, ma non ancora disperati tanto da accettare un patto col diavolo. Non c’è motivo per cui dovremmo tradire la memoria dei nostri caduti. E anche la Russia non è in grado d’imporci tali condizioni: sa che negli ultimi due anni ha occupato meno dell’1% del nostro territorio?».
È un sabato di nebbia e d’anniversari. Coincidenza delle date: si celebrano l’Holodomor e le due rivoluzioni di Maidan. Un giorno, si celebrerà anche questo discorso di Zelensky, che a molti sembra una resa? Il metallo più resistente può alla fine rompersi, dice il presidente, ma le voci di risposta sono cori di no: «Per che cos’abbiamo combattuto?», scrive in un post il soldato Oleksandr K. «Chi potrà mai sgomberare una città come Kramatorsk e darla ai russi?», protesta un sindaco. «Ci hanno rubato le vite e ora anche i soldi», s’indigna l’elettore Anatolii Chernoivan.
Polemiche sparse, unite nel rifiuto della bandiera bianca. Anche Irina è perplessa: «Non so come interpretare la metafora del metallo. Sì, non siamo indomabili, ma non vogliamo nemmeno essere lo scudo metallico dell’Europa, che stiamo coprendo coi nostri corpi. Sono stanca di seppellire i miei amici e parlare della nostra forza d’animo. Questa parola ora mi suona volgare e falsa. C’è una grande stanchezza collettiva che mina la capacità di resistere. Ma vedo anche un sentimento comune: questo accordo umiliante non può essere firmato. Ci viene offerto di fare pace con lo stupratore, di dargli ciò che ci appartiene di diritto: il territorio, le tombe. E cosa fare della nostra memoria? Come continuare a vivere, sapendo che lo stupratore è rimasto impunito?».
L’Europa traditrice… «Certo, non saremmo sopravvissuti senza l’aiuto europeo, ma siamo frustrati dalla lentezza con cui vengono prese le decisioni. La Russia capisce solo il linguaggio della forza, ma la “coalizione dei volenterosi” è purtroppo indecisa. Un errore. Questo mostro deve essere radicalmente decapitato. E se gli si dà l’opportunità di far crescere nuove teste, il risultato saranno attacchi contro altri Paesi europei». E Trump? «Sono cresciuta coi film americani, l’immagine d’un Paese pronto a lottare per la giustizia. Che ingenua…».
La guerra non è finita, Iryna lo sa: «Mio marito è diventato soldato nel 2015: ha già trascorso più di 5 anni a difendere il Paese. Tutti combattiamo o aspettiamo chi combatte. Ho seppellito amici, le mie amiche sono diventate giovani vedove, conosco persone catturate dai russi e torturate, molti menomati. Siamo tutti cambiati molto. Ma abbiamo smesso d’avere paura, viviamo le nostre vite, mentre qualcuno brucia vivo nel suo appartamento. Sono stupita dalle persone, la loro capacità di superare il dolore con un umorismo nero, di sacrificarsi per il bene degli altri. Ci sono ancora molte persone così. E quindi no, non siamo ancora pronti a firmare patti col diavolo».
22 novembre 2025 ( modifica il 22 novembre 2025 | 23:20)
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