di
Vittoria Melchioni

Il trombettista e il legame con Ornella Vanoni, che aveva confidato di volere la musica dell’amico per la sua cerimonia d’addio: «Ero a Bologna, avevo accompagnato mio figlio a scuola e mi chiamò per svelarmi il desiderio»

Lo aveva espresso chiaramente durante una delle sue usuali presenze a “Che tempo che fa”: «Ho chiesto a Paolo Fresu di suonare al mio funerale», aggiungendo di voler essere cremata con un abito di Dior addosso e che le sue ceneri vengano sparse nelle acque della laguna di Venezia. 

Scherzava Ornella Vanoni in quel frangente, quasi ad esorcizzare con la sua intelligenza e arguta ironia un momento che purtroppo è arrivato improvvisamente. Fresu, commosso e scosso dalla morte dell’amica, ha confermato che esaudirà il suo ultimo desiderio: «Non posso svelare il brano che suonerò durante il funerale – ha dichiarato il musicista al tg di Videolina – mi chiamò una mattina di sei anni fa. Ero a Bologna. Avevo accompagnato mio figlio a scuola. Mi svelò quel suo desiderio, mi disse cosa avrei dovuto suonare. Una cosa che mi colpì molto. Per anni ho avuto questo timore e scherzosamente le dissi: “Se muoio prima io devi venire tu a cantare”». 



















































Vanoni e Fresu avevano lavorato insieme ad un album, «Argilla», lontano dalle sonorità che la regina della canzone italiana era solita interpretare e si erano esibiti insieme nel doppio appuntamento di «Jazz on Symphony» lo scorso marzo, due concerti tra jazz e arrangiamenti orchestrali. 

Ornella Vanoni e il rapporto con Paolo Fresu, Lucio Dalla e Bologna

Vanoni aveva un bel legame con Bologna, era amica di Lucio Dalla di cui amava molto il senso dell’umorismo e con il quale si è «divertita come una pazza» per usare le sue parole. Aveva anche un bel legame di amicizia e professionale con Celso Valli, scomparso di recente anche lui, che le arrangiò alcuni dei suoi memorabili successi. 

Si è esibita nei teatri più noti della città come il Duse e il Teatro EuropAuditorium, registrando sempre il tutto esaurito. 

Paolo Fresu ha voluto ricordare quei concerti e ha dedicato ad Ornella una toccante lettera di cui vi riportiamo il testo integrale.

La lettera di Paolo Fresu a Ornella Vanoni: il testo integrale

«Scrivi qualcosa, domando a me stesso in questa vuota mattina di novembre. E sono qui a buttare pensieri sparsi in un foglio word pensando al nostro primo incontro al Tangram di Milano nei primi anni Novanta e a quante volte abbiamo riso, pianto, cantato e suonato in questi trent’anni. 

Quasi impossibile parlare di Ornella. Impossibile tratteggiare una vita ricca fatta di successi e di trionfi, di cadute, ascese e passioni. Scrivi qualcosa, ma cosa? Forse il modo migliore è quello di trovare degli aggettivi. Degli screenshot contemporanei che siano capaci di tradurre l’immaginifico nell’immaginario collettivo del suo essere donna e artista che, sa sempre, appartiene a tutti noi.

Ornella è l’emozione della vita. La sua e la nostra. Capace di mettere al centro del mondo la solitudine e la passione, l’amore per stessa e per il prossimo, il pathos e la poesia che salverà (forse) il mondo.

Una donna sfuggente che abborriva l’ovvietà e il banale. Un’artista che ha frantumato il sottile equilibrio tra arte e vita e che ha fatto del palcoscenico la sua casa dove ospitare e dispensare i sentimenti umani.

L’orologio annuncia che è l’ora di partire per Milano. Salvo questi pochi pensieri e spengo il computer conscio di non essere riuscito a scrivere ciò che avrei voluto. Ad esempio, che tremava come una foglia prima di salire sul palco che poi affrontava come una leonessa. 

Oppure delle telefonate settimanali con la sua voce inconfondibile che iniziavano sempre con “come va”; o quelle con mia madre o con mia moglie Sonia. E ancora il suo spogliare con lo sguardo le persone che non le piacevano così da metterle in difficoltà, il concerto dato a titolo solidale nel cortile nelle scuole Pavese dove mio figlio frequentava le Elementari o il concerto nel prato della casa di Fabrizio de André alle sei del pomeriggio dove lei, scalza, disse: «Non mi è mai capitato di cantare a merenda».

Nel maggio del 2020, davanti alla stessa scuola di mio figlio, mi chiese al telefono di suonare al suo funerale. In quella luminosa mattina si è saldata ancora di più la nostra amicizia fino a quando, poco tempo fa, mi ha chiesto di essere accompagnata per mano al conferimento della Laurea Honoris Causa. Ora sono su un Frecciarossa che sfreccia nella nebbia padana. Riapro il computer rendendomi conto che bisognerebbe scrivere ancora ma i pensieri sono troppo affollati. 

Forse bisognerebbe semplicemente volare tra le parole e nel ricordo della sua musica tra Brecht e Vinicius, Tenco, Fossati e Paoli. Ornella ha volato tutta la sua vita. 

A volte bruciandosi le ali ma sempre rialzandosi e librandosi sempre più in alto. Esattamente come noi facciamo tutte le volte che ascoltiamo la sua voce sempre più in alto. Esattamente come noi facciamo tutte le volte che ascoltiamo la sua voce meravigliosa e inconfondibile. 

L’ultima volta è accaduto a Bologna nel mese di marzo quando, in «The Man I Love» arrangiata da Celso Valli, sembrava Billie Holiday. Mentre entro in Centrale a Milano, la sua città, ripongo il computer nello zaino certo di non essere riuscito nel mio intento. So solo che il mondo ha perso una voce unica che risponde, come Raffaello, Miles e Vinicius, a un unico nome: «Ornella»


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22 novembre 2025 ( modifica il 22 novembre 2025 | 18:49)