Corrono veloci le lancette di Donald Trump. Corrono più veloci quelle di Volodymyr Zelensky. Giovedì il rintocco finale: l’Ucraina dovrà firmare o rifiutare il piano di pace in 28 punti stilato dal presidente americano.
Un piano indigeribile per Kiev, perché concede alla Russia ben di più di quanto ha conquistato sul campo. Ma soprattutto indigeribile per l’Europa che a Johannesburg, tra una pausa e l’altra del G20, si mette al lavoro. C’è tempo? Forse sì, a sentire Trump che dallo Studio Ovale, un attimo prima di imbracciare la mazza da golf e concedersi mezza giornata off, risponde così ai cronisti: «La guerra deve finire in un modo o nell’altro. La mia proposta è definitiva? No».
CORSA CONTRO IL TEMPO
Uno spiraglio. Prova a sfruttarlo l’Europa in affanno. I “Volenterosi” si riuniscono a metà mattinata in una saletta del Nasrec Expo Center. Giorgia Meloni siede tra il canadese Mark Carney e il presidente francese Emmanuel Macron. Sarebbero qui in Sudafrica per parlare di clima, equità sociale, innovazione. Ma l’emergenza Ucraina ancora una volta si prende la scena. In un comunicato congiunto gli europei piantano i paletti di fronte al piano Trump. Aprono in parte al blitz diplomatico del presidente americano. Riconoscono che la bozza di accordo partorita a Washington include «elementi importanti» – come le garanzie di sicurezza americane all’Ucraina – che «saranno essenziali per una pace giusta e duratura». Spiegano che «la bozza è una base che richiederà un lavoro aggiuntivo» e si impegnano «a coordinarsi affinché una futura pace sia davvero sostenibile».
Gli entusiasmi si spengono qui. E qui iniziano le preoccupazioni che percorrono tutte le cancellerie europee alle prese con l’ultimatum di Trump. Due i punti “critici” che la stessa Meloni sottolinea al vertice. Le concessioni territoriali generosissime riconosciute dagli americani ai russi: «Siamo chiari sul principio che i confini non si possono cambiare con la forza» mettono a verbale i Volenterosi.
IL SECONDO PALETTO
Ed ecco il secondo paletto: «Siamo preoccupati dai limiti proposti alle forze armate ucraine, che lascerebbero l’Ucraina vulnerabile di fronte a un nuovo attacco». La Casa Bianca propone di limitare a 600mila soldati l’esercito ucraino. Per gli europei sono numeri troppo bassi: «Senza deterrenti forti i russi torneranno» ammette Macron a margine della riunione.
Meloni tesse la tela italiana. Incontra a tu per tu Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. Nel chiuso del vertice, sposa nei fatti la linea europea. Sa che gli ucraini non accetteranno mai le imposizioni chieste dagli Stati Uniti. Ma prova a guardare al bicchiere mezzo pieno: «In tre anni e mezzo non si era mai aperta una finestra diplomatica così», è il senso del discorso di fronte agli alleati. Come a dire: non è il momento di abbandonare il tavolo, con il rischio che Trump faccia altrettanto, è il momento di trattare.
Lo faranno oggi gli europei, insieme a ucraini e americani. A Zurigo, nella neutrale Svizzera, dove è stato convocato un vertice d’urgenza dei consiglieri per la sicurezza nazionale dei principali Paesi Ue per provare a limare il piano. Nasce come riunione ristretta degli E3: Germania, Francia, Regno Unito. Ci sarà invece anche l’Italia – complice un intervento di Meloni e di Ursula von der Leyen – con il consigliere diplomatico di Palazzo Chigi Fabrizio Saggio. Folta la delegazione ucraina in Svizzera, capeggiata da Andriy Yermak, fidatissimo consigliere di Zelensky. Non è da meno il team americano: al tavolo ci sarà il segretario di Stato Marco Rubio e con lui l’inviato di Trump Steve Witkoff. Il diavolo della trattativa è nei dettagli. Che dettagli poi non sono: l’Europa – e così il governo italiano – ritiene ad esempio inaccettabile la richiesta di Trump di un esborso da 100 miliardi di euro dell’Ue per la ricostruzione ucraina, da affiancare ai fondi degli asset congelati russi.
L’ULTIMA FINESTRA
Ma il vero nodo da sciogliere è il diktat di Trump sui territori ucraini da cedere a Mosca, a partire dall’intero Donbass. «Le guerre non possono essere concluse dalle grandi potenze sopra la testa dei Paesi coinvolti» tuona il cancelliere Merz dal Sudafrica. Sul punto fanno muro tutti i grandi d’Europa a Johannesburg, che domani avranno un nuovo confronto al vertice Ue-Africa in Angola, mentre martedì è in programma un altra videocall dei Volenterosi. Un fiume di riunioni, prima che giovedì cali il sipario.
Nel comunicato congiunto a margine del G20 gli europei insistono sul vero tornante della trattativa con gli americani: le garanzie di sicurezza. Ovvero il patto scritto che può rassicurare l’Ucraina: se la Russia invaderà di nuovo, se la dovrà vedere con la Nato. È la chiave di volta per far digerire a Ucraina e Ue un accordo ad oggi indigeribile. L’Europa chiede, anzi pretende di stare al tavolo: «Ribadiamo che l’implementazione dei passaggi relativi all’Ue e alla Nato richiede il consenso dei membri Ue e Nato» l’avviso recapitato a Trump dagli europei nella capitale sudafricana. Oggi intanto un tavolo è apparecchiato: in Svizzera dove i grandi d’Europa sono pronti a sedersi con gli emissari di Trump. Sperando che il conto non sia troppo salato.
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