Nel suo film “C’è un posto nel mondo”, in questi giorni nelle sale, il grossetano Francesco Falaschi racconta la bellezza e la difficoltà di vivere in provincia. Ed esplora una Toscana cinematograficamente assai poco esplorata. Non la Firenze del Rinascimento, non il Chiantishire, ma i borghi sotto il monte Amiata: Arcidosso, Castel del Piano e Santa Fiora. È lì che ha ambientato le sue storie, tre racconti cinematografici che si susseguono e formano il suo film. Tre storie, tre movimenti: andarsene, rimanere, ritornare. Tutto intorno a quella provincia che rischia di morire, di scomparire.
“Il mio è un film a tema, non un film a tesi”, dice Falaschi, che ha presentato il suo film a Firenze, al cinema Spazio Alfieri, insieme a due dei protagonisti, Luigi Fedele e Massimo Salvianti, e allo sceneggiatore Alessio Brizzi. “Non ho risposte prefabbricate, non so se sia necessario andarsene, rimanere oppure ritornare. Ma so che la vita in quei borghi è importante, so che c’è un patrimonio umano, di relazioni, di cultura che non dobbiamo perdere”.
Che cosa c’è di diverso in quei luoghi?
“Mi ha colpito molto la frase di una signora olandese, dopo aver visto il film. Mi ha detto: ‘Io ho scelto di vivere in provincia, in Italia. Sono venuta via da Amsterdam per un solo motivo: perché qui, quando cammino per strada, sento che gli altri mi vedono. Non sono invisibile’. Ecco, credo che in questi paesi ancora ‘ci si veda’, ed è qualcosa di importantissimo”.
Da che cosa nasce il film?
“Tutto nasce da documentari che abbiamo fatto nel periodo della pandemia, con i ragazzi delle scuole del Monte Amiata. Alcune delle storie che abbiamo ascoltato ci hanno colpito molto. Da qui sono nate le storie che racconto in ‘C’è un posto nel mondo’. Anche alcuni degli attori li abbiamo trovati in zona: c’è stata una bella interazione con le persone del luogo”.
Il cast è molto complesso e molto ricco…
“Sì, siamo stati molto fortunati: Cristiana Dell’Anna, un’attrice straordinaria, ‘donna Patrizia’ di ‘Gomorra – la serie’, è la protagonista della terza ‘storia’ del film. E la sua vicenda personale è molto curiosa: lei, napoletana, cresciuta professionalmente in Gran Bretagna, ha scelto di vivere proprio vicino a Santa Fiora. Poi c’è Luigi Fedele, con cui avevo lavorato nel mio film precedente,’Quanto basta’, c’è Paolo Sassanelli, attore pugliese che ha scelto anche lui di vivere in Maremma; e Massimo Salvianti, gigante del teatro d’impegno sociale e civile, protagonista con l’Arca Azzurra teatro, che scolpisce un personaggio in modo tenero e potente”.
Il film è stato presentato a Valdarno cinema festival, e adesso sta girando la Toscana…
“Sì: ho sempre cercato l’incontro, il dialogo con il pubblico, anche in sale d’essai. Anche i cinema sono luoghi dell’anima, e parlare col pubblico ti aiuta a capire meglio che cosa hai fatto. I cinema sono presidi di cultura”.
Nel film mostra una categoria di persone che si riappropriano del borgo: gli smart workers…
“Sì, sono architetti, designer, professionisti che possono lavorare da remoto, e hanno approfittato di affitti agevolati a Santa Fiora. È veramente accaduto così, e ci sono persone che hanno scelto di vivere lì, approfittando di una qualità della vita migliore, di una dimensione più umana del vivere”.