di
Massimiliano Jattoni Dall’Asén

La spesa digitale degli italiani vola a 66 miliardi: gli e-shopper diventano 35 milioni. Intanto, le big tech accumulano 22,5 miliardi di multe globali (ma sono una goccia nel mare dei loro ricavi)

C’è un’Italia che compra, guarda, ordina e prenota sempre più spesso passando da uno schermo. Un’Italia che, in appena dieci anni, ha moltiplicato per tre la spesa online e che oggi affida alle piattaforme digitali un pezzo consistente della propria quotidianità. Ma c’è anche un’Italia che, proprio per questo, si trova di fronte a un potere nuovo, pervasivo, difficile perfino da misurare: quello dei giganti del web.

La fotografia arriva da una ricerca di Consumers’ Forum, presentata nel convegno Il Potere delle Piattaforme, che ha riunito Antitrust, Ivass, Arera, Bankitalia, Garante Privacy e le principali authority del Paese. Una mappa nitida del modo in cui siamo cambiati — e del prezzo che potremmo pagare per esserlo diventati.



















































​E-commerce, il Paese che ha scoperto la scorciatoia digitale

Nel 2015 gli italiani che usavano l’e-commerce erano 17,7 milioni. Oggi sono 35,2 milioni: il doppio. Ma il dato che colpisce è un altro: la spesa. Si passa da 16,6 miliardi di euro a 62 miliardi nel 2025, con un balzo del +273%. Una crescita che ha trasformato la quota dell’online nelle vendite retail: dal 4% all’11% in un decennio.

Se elettronica, moda e turismo restano i tre pilastri del carrello digitale nazionale, a sorprendere è la marcia trionfale del Food&Grocery. Nel 2015 valeva 377 milioni di euro, una nicchia quasi sperimentale. Nel 2025 supera i 4,9 miliardi: +1.200%. Il motore è il food delivery, che da solo rappresenta quasi metà della spesa alimentare via web. È la normalizzazione della cena «da app», una rivoluzione silenziosa avvenuta senza che ce ne accorgessimo.

​La televisione che non chiamiamo più televisione

Lo stesso vale per il salotto di casa. Dal telecomando unico siamo passati al mosaico delle piattaforme: pay-tv, streaming, servizi on demand. Nel 2015 gli abbonamenti erano circa 7 milioni; oggi si stimano 21 milioni di sottoscrizioni, triplicate in dieci anni. Le famiglie spendono 3,7 miliardi di euro l’anno in contenuti digitali d’intrattenimento.

La moltiplicazione dei cataloghi ha cambiato più delle abitudini: ha cambiato il nostro tempo. Non «si guarda un film»: lo si sceglie tra mille. Non «si aspetta una serie»: la si consuma, spesso compulsivamente. Anche questa è un’abitudine che le piattaforme hanno imparato presto a coltivare.

Big tech, il potere che cresce più delle multe

Ma al crescere dell’utilizzo cresce anche una domanda: chi controlla chi controlla? Perché se da un lato i servizi digitali diventano indispensabili, dall’altro si consolidano posizioni di forza difficili da arginare.

Tra il 2022 e il 2025 Google, Meta, Apple e Amazon hanno accumulato sanzioni per 22,5 miliardi di dollari. Violazioni della privacy, ostacoli alla concorrenza, pratiche scorrette: un catalogo vasto quanto i loro bilanci. Google guida la classifica (13,1 miliardi), seguita da Apple (4,2) e Meta (4).

Ma è proprio qui che la ricerca di Consumers’ Forum accende la spia rossa: nel solo terzo trimestre del 2025 queste quattro aziende registrano ricavi per 436 miliardi di euro e utili per 86,4 miliardi. Le multe? Una goccia. Non scalfiscono il colosso.

​Truzzi: «Serve una nuova stagione di regole»

«Le piattaforme sono diventate indispensabili per milioni di italiani anche per le operazioni più semplici: un acquisto, una prenotazione, guardare la tv», osserva Furio Truzzi, presidente di Consumers’ Forum. Una dominanza che riguarda anche le imprese, molte delle quali finiscono per orbitare nell’ecosistema dei giganti invece di creare alternative. «È una desertificazione che preoccupa — aggiunge — e che richiede da un lato norme più efficaci per tutelare consumatori, imprese, privacy e concorrenza; dall’altro maggiori poteri alle authority che vigilano su questi mercati».

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23 novembre 2025 ( modifica il 23 novembre 2025 | 10:35)