È bastato un doppio lampo per rimettere Torino al centro della mappa e sotto i riflettori internazionali nel giro di pochi giorni: il trionfo di Jannik Sinner alle Atp Finals e, a seguire, lo show delle star del Torino Film Festival. Dal campo azzurro-viola al ed carpet, come due fari nel buio, capaci di richiamare pubblico, investimenti, attenzione internazionale. Ma a cosa servono, davvero, i grandi eventi? Possono scaldare i conti di un’economia regionale che, per ammissione degli stessi analisti, resta inchiodata a una crescita «anemica»? La domanda – non nuova, ma oggi più urgente – pesa come una verifica a fine trimestre: l’entusiasmo di questi giorni regge l’esame dei numeri?

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Dall’arena al tappeto rosso: Torino sotto i riflettori
L’ultimo ciclo di eventi ha mostrato, plasticamente, la potenza della vetrina. Le Atp Finals hanno generato un aumento del 30% dei visitatori, con 250mila biglietti venduti, 4mila posti di lavoro creati e un indotto stimato da Boston Consulting in 600 milioni di euro: in pratica, un valore aggiunto da 2.600 euro per spettatore. Una leva di spesa e reputazione che si somma a un’onda più ampia: i flussi alimentati dai grandi appuntamenti – dallo sport alla cultura, da Artissima al Salone del Libro fino alla sfilata in stile Hollywood del Torino Film Festival – spingono la città verso quota 5 milioni di presenze. Allargando lo sguardo, il Piemonte sfiora i 17 milioni, con un +5% che racconta un movimento costante, non una fiammata. L’analogia più semplice è quella della marea: i grandi eventi sono l’alta marea che alza le barche, ma la domanda vera è se il livello rimanga alto anche quando il vento si placa.

Il termometro PilNow: crescita “anemica” e benzina Pnrr
In questi giorni il Comitato Torino Finanza ha presentato i dati Pilnow, la stima in tempo reale della ricchezza prodotta. Il Piemonte viaggia nello zero virgola: +0,5%, un soffio sopra la media nazionale (+0,4%) ma ben sotto il passo europeo (+1,5%). Un risultato sostenuto «perlopiù dall’ultimo pieno di “benzina” del Pnrr e dalle costruzioni». E le vacanze, allora, quanto generano? Dati certi non ce ne sono, complice la difficoltà di tracciare la spesa reale. A livello statistico, si stima che un turista straniero – che rappresenta il 55% dei flussi in Piemonte – “valga” più di 200 euro al giorno, mentre un italiano si aggiri attorno agli 80 euro. Il contributo c’è ed è «importante», soprattutto sul fronte occupazionale: +12% nei servizi legati al turismo. Ma, osservano i ricercatori di Torino Finanza, basta appena a coprire una parte del vuoto lasciato dall’export industriale, in calo di 3 miliardi. Per dimensioni, siamo nell’ordine di un decimo del valore totale. L’onda turistica, tra Atp Finals, musei, Langhe e sci sulle Alpi, si traduce in circa 300 milioni di euro in più rispetto all’anno precedente: un passo avanti concreto, ma non un ribaltamento della gerarchia economica regionale.

Il quadro strutturale
A mettere i pesi sulla bilancia interviene anche il centro studi Einaudi: secondo un’elaborazione dell’economista Giuseppe Russo, il turismo in Piemonte produce circa il 4% del valore aggiunto del Pil. È un punto e mezzo in più rispetto alla Torino pre-olimpica e si accompagna a 78mila occupati nel comparto. L’intensità turistica resta bassa: 4,7 presenze per abitante, pari al 3,2% del totale dei flussi turistici italiani. Non è un difetto, semmai un dato di struttura: un turismo in crescita, composito e sempre più internazionale, che però non raggiunge la densità di destinazioni iper-specializzate. Vale la pena ricordarlo quando si evoca (come fatto dal governatore Cirio, nei mesi scorsi) il traguardo del 10% del Pil: lo centrano in pochi, come Parigi – tra le città più visitate al mondo – e Miami; Madrid, per esempio, si ferma all’8%. Insomma, portare il turismo piemontese al 10% del Pil equivale a una scalata d’alta quota: possibile con corde, allenamento e meteo favorevole, non con un solo colpo di reni.

Torino al bivio: diversificare, destagionalizzare, rafforzare
Gli analisti di Torino Finanza sono chiari: occorre diversificare le filiere, anche oltre gli eventi, per resistere «al crollo dell’auto e alla domanda debole dell’estero». Vladimiro Rambaldi, presidente del Comitato Torino Finanza, sintetizza la diagnosi: «La tenuta dell’economia è garantita dal Pnrr, dal turismo e dalla dinamica occupazionale nei settori dei servizi e delle costruzioni». Ma avverte: «La crescita “zero virgola” per il terzo anno consecutivo evidenzia la necessità di accelerare la transizione verso nuovi modelli produttivi e di rafforzare la competitività del sistema manifatturiero regionale». È qui che il dossier turismo incrocia quello industriale. Torino cresce come destinazione, ma resta 14esima in Italia per numero di visitatori: metà classifica.

Secondo Confindustria, serve destagionalizzare l’offerta e, soprattutto, rafforzare le imprese. Non basta riempire le piazze a novembre e maggio: occorre costruire filiere stabili, capacità di accoglienza innovativa, servizi all’altezza di un pubblico internazionale nei mesi “vuoti”. Sul fronte delle politiche, la linea è tracciata dalle parole del governatore Cirio: «Continueremo a investire nello sviluppo sostenibile del turismo, innovando le strutture ricettive e supportando le imprese, con l’obiettivo di rafforzare la nostra regione come meta di eccellenza». È una promessa che dialoga con la realtà dei numeri: per trasformare l’onda in corrente, bisogna dare continuità all’impulso, innervarlo nell’economia reale, connetterlo alla transizione produttiva.

Industria Vs Turismo, sfida di miliardi
Arrivare a quel 10% evocato significherebbe circa 13 miliardi di euro l’anno, a fronte di un settore automotive che ancora ne vale 19. È una scommessa ambiziosa e, in parte, una scelta narrativa: il turismo cresce a doppia cifra, contribuisce alla ricchezza regionale, ma non basta – ancora – a supplire il calo dell’industria. 

Il Piemonte può e deve tenere insieme i due mondi: l’energia dei grandi eventi e la tenuta delle filiere tradizionali; la vetrina globale e l’officina locale. Può un torneo di tennis sostituire una catena di montaggio? No. Può, però, aiutare a irrobustire servizi, occupazione e reputazione territoriale, portando domanda laddove l’offerta è pronta a intercettarla.

Resta la questione più delicata: quanto del valore generato resta sul territorio in modo stabile, e quanto si disperde una volta spenti i riflettori? Qui si giocherà la partita dei prossimi anni. Perché, al netto dell’entusiasmo, il valore di un territorio si misura nella continuità, non solo nei picchi.