«L’organizzazione di Torino è stata perfetta: fossi nell’Atp non avrei dubbi ad affidarmi all’«usato sicuro». Ma non credo sia opportuna una guerra fratricida con Milano». A entrare nel dibattito sul futuro delle Finals è Evelina Christillin, presidente del Museo Egizio e grande conoscitrice dei grandi eventi sportivi.
A Torino, sostiene l’ex sindaco Castellani, c’è la cultura per l’organizzazione dei grandi eventi. È d’accordo?
«Assolutamente sì. Le Olimpiadi di vent’anni fa sono state una pietra miliare: se Milano si è aggiudicata i Giochi 2026 è anche grazie alla credibilità che la nostra città ha garantito all’Italia. L’eredità olimpica è fatta anche di questi aspetti immateriali».
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L’Inalpi Arena, vero lascito dei Giochi 2006, è ancora all’altezza di un grande evento?
«Eccome: è l’unica infrastruttura in Italia in grado di ospitare manifestazioni di livello internazionale. Non solo le Finals, ma anche l’Eurovision o i concerti di Lady Gaga: l’Inalpi è patrimonio di Torino quanto i suoi palazzi aulici».
A Milano, però, sta per inaugurare un nuovo palazzetto da 16mila posti. Sarà determinante per assicurarsi le Finals?
«La capienza è indubbiamente maggiore, bisognerà verificare come si adatta l’impianto a un evento come il grande tennis. Certo, avere migliaia di posti in più rispetto all’Inalpi significa assicurare un introito da biglietti nettamente più alto».
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Quali sono le altre carte in più che Milano può giocarsi?
«La ricettività alberghiera, senza dubbio: nel segmento del lusso è superiore a Torino. Poi è collegata meglio, ha due aeroporti ed è più centrale nella rete ferroviaria ad alta velocità».
Se dovesse fare un appello all’Atp per trattenere qui le Finals che argomenti userebbe?
«Fossi in loro mi affiderei all’usato sicuro di Torino: noi abbiamo provato di saper organizzare i grandi eventi superando ostacoli come il Covid, altri invece devono ancora dimostrarlo sul campo. A ogni modo non è il caso di scatenare guerre fratricide».
Forse l’Atp cerca un palcoscenico più glamour. A Torino i vip in tribuna non erano di livello internazionale.
«In questo Torino bada più alla sostanza che all’apparenza. Il nostro è un pubblico qualificato che sa cosa va a vedere, non va all’Inalpi per farsi vedere».
Se anche le Finals andassero a Milano, Torino avrebbe avuto il torneo per sei o sette edizioni: non un traguardo da poco.
«Altroché, la nostra città è già nella storia della competizione. L’abbiamo ospitata più a lungo di Shanghai e Francoforte. Siamo sul podio dopo Londra e New York».
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In cosa potrebbe migliorare l’organizzazione di Torino?
«Forse si potrebbe lavorare su una maggiore fruibilità dei collegamenti tra il centro e l’Inalpi, magari potenziare ulteriormente il trasporto pubblico».
È ottimista per il proseguimento delle Finals a Torino?
«Bisogna esserlo, ma so anche che ci sono molti decisori in campo. È necessario fare squadra e sperare che i quattro ministri piemontesi possano aiutare».
Il Museo Egizio ha beneficiato dell’effetto Finals?
«Direi di sì. Abbiamo superato il milione di visitatori la prima settimana di ottobre, un traguardo che solitamente tagliavamo a fine anno. Durante la settimana delle Finals abbiamo registrato un aumento importante di pubblico, prolungando l’apertura fino alle 20, 30. I tifosi di tennis viaggiano molto e sono curiosi: abbiamo avuto anche gli staff dei tennisti e i loro familiari. E poi Sonego ci ha fatto uno spot non da poco, consigliando l’Egizio a tutti i campioni».