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Oggi è il Terry Gilliam day, al Torino Film Festival che gli ha conferito il Premio Stella della Mole. Ma è anche stato il giorno in cui siamo riusciti a capire qualcosa in più del progetto sul quale Gilliam sta lavorando da molti anni: Carnival at the End of Days, la storia di un Demonio che vuole salvare l’uomo per non dover scomparire, esistendo solo in quanto tentatore, mentre Dio si sarebbe stancato di proteggere chi gli ha distrutto il Paradiso terrestre. «Chiedete agli avvocati di Johnny Depp perché non giriamo», ci ha detto facendoci capire che l’attore feticcio di Paura e delirio a Las Vegas non ha accettato un contratto al ribasso, dopo che è saltato il progetto che l’avrebbe visto girare a Cinecittà.
«Se faremo il film, comunque, io mi ritaglierò il ruolo di Dio, me lo merito! Depp, invece, è perfetto per quello di Lucifero, la sua vita ne è la dimostrazione», ha chiosato. In effetti, nell’epoca degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale, un ironico visionario come Terry Gilliam fa fatica a trovare gli investimenti produttivi di un tempo: «I miei film passati continuano comunque a essere visti e stampati sotto forma di DVD, Monty Python compreso. Certo che quando scopro che i film girati vengono rivisti dell’intelligenza artificiale, che taglia le scene che gli algoritmi dicono non essere adatte al target di riferimento, beh, questa è follia pura. Il cinema è nato per stupire, non per trasformarsi in un prodotto da McDonald’s», ha detto riferendosi alla serie nata da un suo film, Time bandits, che è stata interrotta dopo una sola stagione, ma soprattutto a quella mai realizzata con Netflix a partire da La leggenda del re pescatore.
«In nome del politicamente corretto, abbiamo perso il coraggio della fantasia, e dell’ironia: così il cinema non andrà più da nessuna parte, i film che escono sono omologati». Per sdrammatizzare una polemica sorta in Gran Bretagna, dove la BBC aveva dichiarato che oggi i Monty Python non potrebbero più esistere perché sono tutti maschi, e bianchi, «mi ero autodefinito come una lesbica nera di nome Loretta, pure in fase di transizione: i quotidiani inglesi mi hanno massacrato». A torto, perché Terry Gilliam nutre un sincero (anche se non sbandierato) rispetto per le diversità: dopo essersi commosso nel riconoscere quanto la moglie Maggie Weston, con la quale è sposato da 52 anni, sia stata e sia fondamentale nella sua vita artistica, sempre a Torino ha precisato che nei suoi film, molto spesso, sono i personaggi femminili a essere il centro vero della storia: «È il caso di Madeleine Stowe ne L’esercito delle 12 scimmie.
Bruce Willis, che avevo fortemente voluto, è stato eccezionale, ma è il personaggio di Madeleine Stowe a fungere da ago di tutto. Purtroppo la critica, e i festival, non se ne sono accorti abbastanza».
La vicinanza con quel Federico Fellini che, come lui, non riusciva più a farsi produrre, ci ha spinti ad affrontare il tema. «Fellini per me è Dio. Lo avevo conosciuto a Cinecittà: io stavo girando Le avventure del Barone di Munchausen, lui Intervista. Un giorno ero rimasto bloccato dentro il mio ufficio perché fuori c’era Federico che stava ultimando una scena: “Tu usi la mia stessa troupe, e quindi fai parte del mio film: non ti puoi muovere!”, aveva detto ridendo. La sera, per scusarsi, mi aveva portato fuori a cena con la moglie, Giulietta Masina, dopo mi aveva fatto vedere Fontana di Trevi: è allora, davanti a quel monumento, che mi sono innamorato di lui».
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