di
Valentina Baldisserri
Chieti, il padre dei bambini in silenzio dopo una riunione dei neo rurali. Il vicino: «Mi viene da piangere, che ne sanno i giudici»
Dlla nostra inviata a Chieti
«Quanti terremoti potenti ci sono stati qui in Abruzzo? Almeno due no? Mi dite come mai quel casolare non è mai crollato se è fatiscente, se non è stabile come dicono?». Osvaldo, è un abruzzese di quelli tosti, parla in dialetto per rafforzare i concetti. Nelle campagne di Palmoli ci è nato e ci vive. Ma è arrabbiato, ce l’ha con il mondo intero, anche un po’ con i giornalisti («Forse non è un bene che siate qui») per via della storia che ha travolto i suoi vicini di casa Nathan e Catherine: «Cosa ne sanno i giudici della vita qui? Perché non vengono a vedere come siamo messi, con le strade dissestate, abbandonati dalle istituzioni?».
Poi di colpo l’espressione burbera si trasforma in commozione: «Se penso a quei bambini portati via così mi viene da piangere. Perché io a quella famiglia voglio bene. A ogni Natale Catherine mi portava la torta di cioccolata che preparava. Lui mi dava una mano se serviva. I loro figli? Per me sono come i miei nipoti. Sempre sorridenti, felici. Prima qui c’era allegria, ora solo tristezza». Osvaldo se la prende pure con i social che «Raccontano fandonie. Devono lasciarli in pace». Poi se ne va brontolando.
Il gelo
Il freddo è pungente qui in contrada Mondola, il silenzio pesante. Non c’è nessuno nel casolare in pietra sulla strada che va a Palmoli. Un via via di telecamere e inviati, quelli sì. Tutti che attendono Nathan davanti al cancello in legno che sbarra l’ingresso. Gallipoli e Lee, l’asinello e il cavallo di proprietà della famiglia che vive nel bosco, vagano nervosi nel pezzo di bosco antistante la casa. Sembrano aver capito che la situazione è complicata, che forse i bambini, compagni di gioco, non torneranno tanto presto. Aspettano anche loro Nathan che fino a tarda sera però non rientrerà. «Si è rifugiato da amici a Chieti» ci dicono. Qualcuno sussurra che non sta bene questo papà rimasto solo, separato dai tre figli e dalla moglie Catherine. «Domenica notte si è sentito male, sarà la rabbia per gli ultimi avvenimenti», dice un amico.
Niente interviste
Niente più dichiarazioni. Nathan si è chiuso in una specie di silenzio stampa. Pare che ci sia stata una riunione delle comunità neo rurali che vivono lì intorno e che condividono la stessa filosofia di vita della famiglia anglo-australiana. E che abbiano deciso loro per lui. Silenzio da ora in poi: «Perché il clamore mediatico degli ultimi giorni potrebbe danneggiare la famiglia anziché aiutarla».
In paese invece se ne parla eccome di questa storia che ha portato Palmoli, 850 abitanti circa a 7o0 metri di altitudine, sulle prime pagine di giornali e tv. Qualcuno è annoiato dalle domande dei giornalisti e protesta per l’invasione. La fruttivendola Ermelinda no. Lei racconta. Di questa famiglia «che non parlava bene l’italiano» e che «non si vedeva tanto spesso in paese. Catherine non dava tanta confidenza. Entrava in negozio e prendeva pane, frutta. I bimbi belli ed educati. Dispiace li abbiano allontanati dai genitori. Però — dice storcendo la bocca a mo’ di critica — avrebbero dovuto accettare l’aiuto che gli aveva offerto il Comune. Potevano avere una casa qui, in paese. E poi nel weekend tornarsene nel bosco. Cosi invece hanno perso tutto».
«Non è tutto perso» ribatte a distanza l’avvocato Giovanni Angelucci che continua la sua battaglia per riportare a casa Catherine e i tre bimbi. Nel ricorso che dovrà presentare tra pochi giorni, cercherà di rispondere punto per punto alle criticità espresse nel decreto del tribunale dell’Aquila. Una di queste è il bagno a secco posto all’esterno del casolare.
I lavori
Ieri Nathan ha firmato il progetto di ristrutturazione che servirà a costruire un nuovo bagno in casa, che garantisca condizioni igieniche migliori. È un primo passo, non sarà l’ultimo. Perché i giudici rivedano le loro decisioni, serve che i due genitori si ammorbidiscano su altri fronti, vedi l’istruzione. «Però non dite che l’istruzione parentale porta all’isolamento dei minori — dice Annalisa Vincenzi, vice segretaria Laif, l’Associazione istruzione in famiglia —. Ho due figli che come quelli di Nathan e Catherine, seguono l’unschooling. E non sono affatto isolati e asociali. E conosco bene Nathan e Catherine, due genitori bravissimi. Spero che i giudici lo capiscano». Del resto in questa storia che appassiona l’Italia e fa discutere, non c’è un solo punto di vista che vince. Intanto la petizione online ha superato le 150 mila firme.
25 novembre 2025
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