In un paese in cui la cultura hip hop è spesso stata disprezzata dall’intellighenzia, Marracash è una mosca bianca. Lo spessore dei suoi versi – in particolare quelli della trilogia formata dagli album «Persona» del 2019, «Noi, loro, gli altri» del 2021 e «È finita la pace» del 2024 – lo hanno reso il rapper italiano più incensato dall’élite intellettuale e culturale. «Ogni tanto però mi attribuiscono nozioni che io non possiedo» sorride lui. «Sono un autodidatta, ho letto tantissimo ma non ho una formazione standardizzata». Forse anche per questo il libro che porta la sua firma, «Qualcosa in cui credere» (Rizzoli Lizard), non assomiglia a quelli dei suoi colleghi, neanche nell’aspetto. Scritto insieme al giornalista musicale Claudio Cabona, non è la classica autobiografia o l’ennesimo instant book pubblicato a beneficio dei fan, ma un volume fotografico dalle dimensioni generose, in cui le immagini sono accompagnate da una vera e propria immersione totale nel suo processo creativo: è il racconto passo per passo di come sono nati i suoi tre album più amati, e soprattutto delle motivazioni che lo muovevano mentre li scriveva.

Una storia che ripercorre anche durante la presentazione al cospetto di poche fortunate decine di fan, in dialogo con lo stesso Cabona. Tutto comincia nel 2019, dopo la fine di una relazione tossica, quella descritta minuziosamente in «Crudelia», uno dei suo brani più famosi. «Mi ha fatto vacillare al punto da non sapere più se sarei riuscito a fare questo lavoro, tutto il music business mi dava per spacciato» ricorda. E invece il pubblico comincia a identificarsi davvero con lui e con la sua auto-analisi lucidissima e a tratti impietosa, molto lontana dal clichè del rapper con l’ego ipertrofico. «Fino ad allora i miei pezzi più intimi e personali erano sempre stati i meno ascoltati dei miei album, con “Persona” tutto è cambiato» ricorda.

Poi arriva la doccia fredda del Covid, con il lockdown che lo costringe ad annullare un tour nei palasport che pochi giorni prima era andato sold-out in pochi minuti. «Una doccia fredda che però mi ha dato tempo e modo di provare a incidere un altro disco nel solco già tracciato: se avevano capito “Persona”, c’era speranza» ride, ricordando che i suoi discografici temevano che il suo rap fosse «troppo adulto» per i ragazzini del pubblico generalista. Nasce così «Noi, loro, gli altri», il secondo capitolo della trilogia, e tuttora il suo preferito, in cui mette se stesso in un contesto collettivo. «Agli esordi ero un ragazzo di periferia: pensavo solo a salvarmi, a fare soldi, a non finire come i miei a fare una vita di rinunce» dice. «Ma poi ho capito che c’è molto altro, che dovevo comunicare qualcosa ai ragazzi come me. Quanti di loro sognano di avere il mio orologio? Io glielo darei, ma per fargli scoprire se davvero la loro vita migliorerà per questo. Il successo non è la risposta a tutto» dice.

«Tutto quello che faccio è per cercare di incidere sulla realtà, e tutto quello che ho da dire lo metto nelle mie canzoni, l’opinionismo non fa per me» scrive nel libro. «Spesso mi invitano a parlare in talk show su temi importanti, ma continuo a preferire il silenzio in molte circostanze, soprattutto quando si rischia di inquinare con il rumore di fondo voci importanti e interessanti. Non credo molto neppure nell’attivismo sui social» argomenta durante la presentazione. Spesso, però, anche quando le sue canzoni parlano, non tutti sono in grado di ascoltare. «Mi sono reso conto che il mio ultimo album “È finita la pace”, è il più sottovalutato dei tre perché è il più sociale, dico cose che la gente non vuole sentirsi dire» osserva. «L’aspetto psicologico dei miei brani, quello di auto-analisi, ha senz’altro fatto presa; l’aspetto più politico e ribelle, in cui parlo di cose che ci riguardano tutti, fa molta più fatica ad arrivare». Forse è anche perché non esiste più una vera dimensione collettiva, riflette, anche se ultimamente ha apprezzato la grande partecipazione su alcune specifiche istanze. «Su Gaza, ad esempio, gli italiani hanno riempito le piazze e hanno fatto anche più degli altri, ma sarà un movimento che si tradurrà in impegno? Cambierà il voto alle urne? Questo non lo so» confessa.

A margine, un ricordo di Ornella Vanoni, con cui c’era un legame speciale: «Faccio un po’ fatica a parlarne perché è stata una bella botta, avevamo un’affinità elettiva» dice commosso. «È una persona che ricordiamo tutti con affetto per le cose buffe che diceva, ma era di una lucidità totale. Più volte ho pensato: davvero si può arrivare così a 90 anni? È stato incredibile essere suo amico».




















































25 novembre 2025