di
Valentina Santarpia

I rappresentanti di maggioranza chiedono approfondimenti e salta l’approvazione in Senato nella giornata di celebrazioni contro la violenza sulle donne

Il ddl sulla violenza alle donne che introduce il consenso informato, approvato all’unanimità alla Camera, non andrà all’esame dell’Aula del Senato, dove era atteso oggi per essere definitivamente licenziato. Il «colpo di scena» è avvenuto nella commissione Giustizia di Palazzo Madama, presieduta da Giulia Buongiorno, dove i rappresentanti dei partiti di maggioranza hanno chiesto di esaminare ulteriormente il testo prima di licenziarlo. Una richiesta che ha scatenato l’ira delle opposizioni che hanno abbandonato la riunione della commissione e accusano la maggioranza di «stracciare il patto Meloni-Schlein siglato alla Camera», come sottolineano i senatori del Pd Alfredo Bazoli e Ivan Scalfarotto, mentre nell’anticamera tra la senatrice dem Valeria Valente e il senatori FdI Salvo Sallemi il confronto si fa acceso.

Il presidente del Senato Ignazio La Russa ha sottolineato di avere messo in campo tutte le sue prerogative affinché l’Assemblea fosse messa nella condizione di votare già oggi – Giornata internazionale contro la violenza alle donne – il ddl. «La commissione Giustizia si riunisce alle 14.40. Se finiscono i lavori, alle 16.30 lo discutiamo in Aula. Altrimenti faremo un dibattito sulla Giornata, che è una giornata comunque importante, ricordando che all’unanimità questa legge è stata già approvata alla Camera. Non macchierei questa bella convergenza di volontà con polemiche», aveva detto ai cronisti al termine della Capigruppo. 



















































Giulia Bongiorno, eletta con la Lega, presidente della commissione, frena: «Credo di parlare a nome dell’intera commissione: si vuole andare avanti con questo ddl. Quindi chiunque voglia far passare il messaggio che si vuole archiviare non fa i conti sul fatto che io presiedo la commissione, non affosserò questo ddl che porteremo avanti». Il ddl «è arrivato oggi ed è fuorviante dire che ci sono ritardi» in commissione, ha proseguito, «ho dovuto chiedere se c’era l’unanimità sulla rinuncia agli emendamenti», come prevede il regolamento. Ma l’unanimità non c’è stata «perché nel centrodestra si è detto che si vogliono fare alcune correzioni alla luce di alcune audizioni. Farò un ciclo breve e mirato e su alcuni aspetti tecnici segnalati e poi si proseguirà. La norma va fatta ma è chiaro che senza l’unanimità non si può chiudere in mezz’ora», ha sottolineato Bongiorno.

«Ricordiamoci che il provvedimento è importantissimo, tra l’altro utile per un’altra ragione a parte i miglioramenti che potremo fare: perché in Italia è come se ci fosse una giurisprudenza che esalta il consenso, poi c’è il singolo giudice che invece si attiene al testo normativo, quindi si tratta anche proprio di garantire omogeneità di applicazione. La norma va fatta, però se in un giorno o qualche giorno…». Bongiorno ha poi aggiunto che a creare perplessità sarebbe l’ultimo comma dell’articolo che riguarda i «casi di minore gravità» su cui hanno chiesto approfondimenti «sia Stefani della Lega che Zanettin di Fi sia Berrino di Fdi». Berrino conferma: «Abbiamo chiesto dei chiarimenti», ma «la stretta di mano tra Meloni e Schlein ha un significato». Stefani aggiunge: «Non c’è nessun pregiudizio sul testo, nè sul merito. Forse doveva essere lavorato bene sulla proporzionalità, cioè sono puniti nella stessa maniera la mancanza di consenso e la violenza. Abbiamo bisogno di un minimo di tempo per studiarlo. Non abbiamo chiesto di paralizzare l’iter di questa norma, vogliamo solo approfondire».

Dura la replica di Scalfarotto: «La verità è che hanno scelto di affossare una legge frutto di un accordo politico ai massimi livelli, che la Camera aveva sancito votandola all’unanimità. Ancora una volta, il centrodestra dimostra una grave inaffidabilità istituzionale: nemmeno un’intesa formalizzata in un ramo del Parlamento è sufficiente a garantire il rispetto della parola data». Maria Elena Boschi (Iv) parla di «voltafaccia della maggioranza, che ha rinviato il voto e sospeso l’esame in Commissione sine die». Per Deborah Serracchiani «questo comportamento è inaccettabile, non tiene accordo politico fatto nell’interesse delle donne che soffrono». La dem Anna Rossomando si associa sottolineando: «Siamo molto amareggiati e sorpresi» dall’atteggiamento della maggioranza che «inspiegabilmente» ha «affossato il provvedimento, perciò siamo usciti dalla commissione». Ma anche da Avs, con Devis Dori, e Movimento 5 stelle, con Valentina D’Orso, arriva la stigmatizzazione in aula di quanto successo al Senato. Per il capogruppo rossoverde in commissione Giustizia, la ministra Roccella dovrebbe intervenire in Aula per spiegare «la rottura dell’accordo politico raggiunto tra maggioranza e opposizione sulla legge sullo stupro: si tratta di un fatto gravissimo, la ministra spieghi cosa sta accadendo».

Le opposizioni hanno chiesto di sospendere i lavori sul ddl Femminicidio, in corso in aula alla Camera, finché non ci saranno chiarimenti su quanto sta accadendo al Senato sulla pdl sul consenso libero e attuale in materia di violenza sessuale. La richiesta dell opposizioni – avanzata da Avs e a cui si sono associati anche Pd, M5S e Iv – è stata però respinta dall’aula di Montecitorio. «Non scadiamo in sterili polemiche, ma restiamo tutti concentrati sull’obiettivo e lavoriamo insieme in questa direzione», chiosa Mariastella Gelmini, senatrice di Noi Moderati. 


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25 novembre 2025 ( modifica il 25 novembre 2025 | 17:49)