di
Marta Serafini

Dopo il cessate il fuoco c’è il rischio che le raccolte fondi per la Striscia abbiano meno successo. Ma il 90 per cento della popolazione dipende dagli aiuti

DALLA NOSTRA INVIATA
TEL AVIV – Mentre le Nazioni Unite avvertono che ricostruire la Striscia costerà più di 70 miliardi di dollari e potrebbe richiedere diversi decenni, i fundraiser lanciano l’allerta: dopo il cessate il fuoco le donazioni per Gaza rischiano di essere in calo.

Secondo una recente inchiesta del Guardian, Oxfam GB registra un’inflessione mentre Save the Children UK afferma che le donazioni provenienti dal suo marketing sui social media sono diminuite di un terzo.
A confermare il quadro, almeno in parte, i portavoce italiani delle ong. «Ancora è da capire se il cessate il fuoco e il dibattito pubblico tutto incentrato su futuro e sulla ricostruzione, hanno avuto un impatto sulle donazioni. Due cose sono certe però: la situazione nella Striscia è ancora gravissima dal punto di vista umanitario e la seconda è che noi e i nostri partner non smetteremo di dare il massimo per aiutare la popolazione», spiega Paolo Pezzali di Oxfam.



















































A contribuire sarebbe la minore attenzione dei media e dei social media.
«Una volta che un’emergenza umanitaria non è più in primo piano, paradossalmente, anche il bisogno della popolazione scompare e purtroppo non viene più sentito il senso di urgenza della donazione. Questo è fisiologico, ma è diverso nei vari Paesi: in Italia la flessione dei fondi raccolti, sebbene ci sia stata, per noi è stata minima», sottolinea Giancarla Pancione, direttrice marketing, raccolta fondi e brand di Save the Children Italia.

Molte ong stanno lanciando ora le campagne in vista del Natale: una di queste è Avsi, che invia gli aiuti dentro la Striscia attraverso il Patriarcato latino, o Emergency che a Gaza ha aperto una clinica. In entrambi i casi non sono state osservate flessioni ma il tema dell’emergenza resta anche a fronte di un aumento dell’ingresso dei tir. 

Perché – spiegano gli osservatori – se il numero di camion carichi di beni commerciali è aumentato dopo il cessate il fuoco, quello degli aiuti umanitari, tra cui i medicinali, è ancora insufficiente. 

Il portavoce dell’Unrwa, Adnan Abu Hasna, conferma che Israele continua a bloccare l’ingresso del personale internazionale dell’agenzia e a limitare il flusso di rifornimenti umanitari, lasciando circa 6.000 camion di cibo bloccati ai valichi di frontiera. 

Abu Hasna spiega anche che oltre il 90% della popolazione di Gaza dipende ora interamente dagli aiuti umanitari, con molte famiglie che ricevono un solo pasto ogni 24 ore. E osserva che sebbene una media di 170 camion di aiuti umanitari entri a Gaza ogni giorno, la cifra è ancora ben al di sotto del minimo necessario per soddisfare i bisogni di base.

C’è poi un altro tema. Secondo l’amministratore delegato di Tech for Palestine, Paul Biggar, citato dal Guardian, le principali aziende di social media come Meta hanno pregiudizi algoritmici contro i contenuti pro-palestinesi, il che rende difficile per fundraiser essere visti al di fuori degli attuali circoli di advocacy. 

Inoltre, le nuove regole di Meta per le raccolte fondi sui social,  interrotte nei Paesi dello Spazio Economico Europeo (SEE) a causa delle normative europee a partire dal luglio 2024, rendono il lavoro più difficile. 

In questo quadro difficile dire quale fattore pesi di più.  «Da ottobre, abbiamo notato una diminuzione delle donazioni, che è accaduta in corrispondenza dell’accordo per il cessate il fuoco a Gaza, ma anche delle restrizioni di Meta sulle pubblicità su temi sociali», sottolinea Laura Perrotta, direttrice Raccolta Fondi di Medici Senza Frontiere. Ma di sicuro la questione resta, soprattutto mentre si avvicina l’inverno. 

25 novembre 2025 ( modifica il 25 novembre 2025 | 17:13)