Ci sono ancora gli allievi mingherlini e minuti, destinati col tempo a crescere, fino a diventare dei veri corridori? Oppure la prorompente fisicità di questo periodo lascia spazio solo ai fisici più sviluppati, chiudendo le porte in faccia agli altri? Siamo certi però che i risultati ottenuti da atleti in anticipo sui tempi della crescita siano destinati a ripetersi anche in età più adulta?
I ragionamenti di Alberto Puerini, direttore sportivo marchigiano, e le statistiche elaborate nei giorni scorsi da Gabriele Gentili meritano un approfondimento. Per questo ci siamo rivolti a Diego Bragato, responsabile del settore performance della Federazione. Il suo compito, fra gli altri, è quello di testare i corridori più giovani: soprattutto gli juniores, ma anche gli allievi di secondo anno e i giovani di Silvia Epis per gli Eyof, il Festival Olimpico Estivo della Gioventù Europea. E’ solo una sensazione che gli allievi siano mediamente più strutturati che in passato?
«E’ una cosa generale – risponde Bragato – fisicamente sono più strutturati. Finalmente, dopo anni che lo ripetiamo nei corsi di formazione, sta passando l’idea che dobbiamo guardare l’atleta prima che il ciclista e quindi strutturalmente da qualche anno i ragazzi sono soprattutto atleti».


Può essere anche, come dice Puerini, la conseguenza di un maggior ricorso alla palestra?
C’è più attenzione, perché probabilmente nelle palestre c’è più professionalità. Sanno valutare il momento in cui effettivamente si può iniziare a lavorare anche sulla forza. Appena un ragazzo ha raggiunto la maturità fisiologica, sessuale e ormonale per assimilare i lavori sulla forza, è giusto lavorarci. Probabilmente come evoluzione siamo arrivati al punto in cui questo momento si è un po’ anticipato.
Esistono ancora gli allievi mingherlini che hanno bisogno di più tempo?
Ci sono, ne abbiamo ancora alcuni che devono sviluppare, ma in percentuale minore rispetto a qualche anno fa.
C’è il rischio che la precocità degli altri diventi per loro un ostacolo insormontabile?
Sì, certo, anche come conseguenza del fatto che si cerca di performare al meglio negli juniores. Quelli che tendono a maturare dopo purtroppo vengono danneggiati, infatti secondo me non bisogna dimenticarsi che alcuni hanno tempi di maturazione diversi. Bisognerebbe guardare anche indietro e lasciare una finestra aperta negli under 23 a chi viene fuori un po’ dopo. Perché comunque negli juniores c’è una grande differenza fra essere nati a gennaio oppure a dicembre.
Per quello che vedi dai test, si tende a lavorare di più con gli allievi?
Non ho in mano molti dati, però seguo quelli che fanno risultati importanti ed effettivamente i carichi di lavoro sono aumentati. Questo, come dicevamo, per il fatto che la categoria juniores è diventata ancora più importante. E’ come se gli juniores di oggi fossero gli U23 di ieri e di conseguenza gli allievi lavorano come gli juniores di qualche anno fa. Detto questo, secondo me è ancora prematuro aumentare il volume di lavoro negli allievi, perché le differenze fisiologiche di sviluppo sono ancora più marcate che negli juniores. La differenza tra l’età cronologica e l’età biologica è ancora molto ampia, quindi è presto per volere certe prestazioni.


Gli allievi hanno ancora i rapporti limitati: bene o male?
Per come la vedo io, un bene. Magari ci fa perdere qualcosina a livello internazionale, perché quando da juniores si mescolano le carte, chi ha già lavorato con certi rapporti anticipa i tempi. Però secondo me non è un problema: volendo lavorare nella giusta prospettiva di tempo, hai tutto il tempo per recuperare quel gap.
Credi che il passaggio ai rapporti liberi sia ancora un ostacolo molto alto?
Se parliamo degli atleti con cui lavoriamo noi, non lo è. Sono atleti strutturati, grandi, fisicamente forti. Ma se penso alle società che hanno in mano anche i ragazzi non ancora sviluppati fisicamente, la situazione è più difficile da gestire. Dovranno essere bravi a gestire il passaggio.
E brave dovranno essere le squadre degli juniores italiane e straniere – ci permettiamo di annotare – che cadono sempre più di frequente nel facile tranello di prendere i ragazzi che vincono tanto a 16 anni, lasciando scivolare via coloro che avrebbero le potenzialità per farlo in maniera importante dopo i 20. Tutto e subito: non è mai stata una regola redditizia nella vita quotidiana, figurarsi in uno sport faticoso come il ciclismo.