Ospite al Torino Film Festival, dove ha presentato il suo documentario sulla danza In-I In Motion, Juliette Binoche si è raccontata parlando della sua voglia di dirigere film di finzione, il suo impegno contro la violenza sulle donne e quei tre no a Steven Spielberg.
È un momento di svolta, per la carriera di Juliette Binoche. Ospite a Torino Film Festival, dove ha ricevuto la Stella della Mole e ha presentato il suo primo documentario da regista, ha dichiarato di sentirsi pronta al debutto nella finzione. Intanto la prova generale è stata In-I In Motion, il racconto di sette mesi, nel 2007, in cui lei e il coreografo britannico Akram Khan si dedicarono a un coraggioso esperimento artistico. Crearono insieme In-I, una performance intensa che hanno poi portato in scena 100 volte in tutto il mondo. Dalla prima scintilla di ispirazione all’applauso finale, il documentario ripercorre l’arco emotivo e creativo di una collaborazione singolare. Attingendo a decine di ore di filmati inediti, riflette, come regista, sulla natura della creazione artistica, sulla vulnerabilità e l’euforia del correre rischi e sulla trasformazione personale che essi richiedono.
Incontrando alcuni giornalisti, a Torino, ha parlato con la consueta generosità della sua carriera e delle sue passioni, delle cose che la indignano così come del suo immediato futuro.
“l primo film che mi ha colpito profondamente”, ha detto, “è stato La passione di Giovanni d’Arco di Dreyer, l’ho trovato di una potenza straordinaria, mi ha sconvolto ed estasiato, ma poi ci sono stati Vidor, Griffith, e tanti altri. Oggi sono in una fase della vita molto orientata nel presente, faccio fatica a scavare così tanto nel passato. Dopo molti film sono pieno di curiosità, mi piacerebbe fare in prima persona dei film, visitare luoghi non conosciuti o visitati, come artista sento il bisogno di affrontare nuove sfide. La ripetizione uccide. A livello personale, i miei figli sono andati via di casa e ho appena perso un gatto, quindi è un momento di adattamento, sofferenza ma anche di grande amore, perché le situazioni che si chiudono ti costringono ad aprirti alle novità e a tantissime possibilità diverse. La regia di lungometraggi di finzione è qualcosa che voglio fare, mi sento pronta ad andare in questa direzione.

Sempre impegnata nel cinema europeo, di cui apprezza “la diversità e i tanti festival che la propongono al pubblico”, ma anche a Hollywood. Dove è sempre più stringente il controllo sulle scene di sesso, con la presenza di intimacy coordinator. “È molto difficile un intervento razionale, di una figura oggettiva, in una situazione che scaturisce dal desiderio. Ma capisco l’esigenza che esista questo ruolo, per via di tutti gli orrori che sono stati fatti. Non è facile, forse dovrebbe spettare all’attore decidere fino a che punto si sente libero di esprimere con il proprio corpo, con il consenso di un altro attore, restando molto naturale. Ma se c’è il rischio che il partner o il regista utilizzi in modo non corretto queste scene, allora non va più bene. Forse la versione ideale sarebbe quella di girare liberamente una scena e poi mostrarla agli attori, e se trova il loro consenso, se ritengono che da un lato sia spontanea e dall’altro rispetti il corpo, allora potrebbe essere la soluzione giusta”.
Proprio oggi si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Un campanello d’allarme e d’impegno che ha sempre riguardato Juliette Binoche. “Non capisco come si possa non dire nulla quando le donne, in posti come il Sudan o l’Afghanistan, il Congo e l’Iran, sono private delle libertà fondamentali. È terribile, è dovere di ciascuna di noi parlare e rendere nota questa situazione, manifestare pubblicamente il dissenso e il sostegno a favore di un cambiamento. Vorrei però che il numero di uomini che protestano per queste situazioni aumentasse, perché non è sufficiente. Siamo abituati oggi, nella nostra società, a vedere la rappresentazione del potere come una forza che deriva dall’esterna, quando in realtà la forza delle donne è interiore, naturale, è innata e come tale genuina. La donna dà la vita, e quindi la protegge. L’educazione che abbiamo ricevuto dalle donne, quindi dalle nostre madri, ci porta a immaginare che possiamo ricevere protezione da chi possiede forza fisica, quindi un uomo. Mi sono resa conto come sia assolutamente un’illusione, che questa figura maschile sostanzialmente non esiste. In questo senso le nuovissime generazioni sono un po’ più scafate rispetto a noi. Sono stata cresciuta da una madre femminista, eppure avevo in testa l’idea che un uomo avrebbe dovuto proteggermi. Lo vediamo anche come viene rappresentata anche nella storia dell’arte la forza degli uomini. Ma per le donne, a livello domestico, è insita una quantità di violenza che può emergere anche nelle piccole cose. È fondamentale che una donna dica immediatamente di no e si opponga a ogni tipo di tentativo di sopruso, puntando i piedi e interrompendo ogni tentativo di instaurare un certo modello comportamentale che si può diversamente innestare”.

Binoche rivendica con affetto un ruolo cruciale alla sua famiglia, ricorda sì che la vita spesso ha deciso anche per lei, “ma per quanto caotica, sceglierei ancora la famiglia dalla quale provengo, nonostante i miei genitori abbiano divorziato quando ero piccola e sia stata messa in collegio. Ma la mia è una famiglia con un grande amore per l’arte, è stata fondamentale. Mia madre era una femminista con opinioni molto precise e forti. Credeva nella verità e mi ha insegnato il dono della sincerità e la possibilità di affermare il proprio pensiero. Apprezzo quello che ho ricevuto da loro. Ho imparato in mancanza di qualcosa a non compiangermi, ma a trovare lo spunto per andare avanti e conquistare le cose in un altro modo. Se parlo dei miei genitori è perché li ritengo molto importanti per l’inizio del percorso di un’artista. Mia madre è stata fonte di ispirazione, mi ha proposto cose che mi hanno formato, ha costruito la mia architettura interiore. Ora che si avvicina il momento in cui se ne andrà la guardo con particolare affetto”.
Infine risponde a suo modo a quanto, con un sorriso, gli ha rimproverato in alcune dichiarazioni Steven Spielberg, di avergli detto di no per tre volte. “La prima stavo lavorando a Gli amanti del Pont-Neuf, non potevo abbandonare quel progetto, molto tribolato ma che mi stava così a cuore. La seconda mi ha chiesto di partecipare a Jurassic Park, ma Kieślowski mi aveva proposto Film Blu. Ho letto comunque la sceneggiatura e gli ho detto che mi sarebbe piaciuto molto interpretare un dinosauro, ma preferivo fare Film Blu, un tipo di progetto che per un attore mi sembrava più stimolante. La terza volta è stata per Schindler’s List. Non me la sono sentita, essendo incinta, di interpretare il ruolo di una donna torturata, stuprata e uccisa. Non gli ho mai detto di no perché era un uomo, anche se quando ci siamo trovati a parlare di un progetto che riguardava la Duse e Sarah Bernhardt, ho fatto notare a Spielberg come fosse poco interessato alle donne, ma sempre a protagonisti maschili, anche se ha lavorato poi con Meryl Streep. Ma la stessa cosa più o meno ho fatto con Martin Scorsese, appartengono entrambi a una generazione di cineasti molto più appassionati a storie di gangster e omicidi che alla realtà del mondo in cui viviamo”.