di
Mara Gergolet

Il sì dopo le correzioni, ma Lavrov punta i piedi: la base resta l’Alaska. Negoziati ad Abu Dhabi

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE 
BERLINO – Quando è sera in Europa, interviene Trump: «Nell’ultima settimana, il mio team ha fatto enormi progressi riguardo alla fine della guerra tra Russia e Ucraina (una guerra che NON sarebbe MAI iniziata se fossi stato io il Presidente!)». E aggiunge: «Il piano di pace originale in 28 punti, redatto dagli Stati Uniti, è stato perfezionato, con contributi aggiuntivi da entrambe le parti, e restano solo pochi punti di disaccordo. Nella speranza di finalizzare questo piano di pace, ho incaricato il mio inviato speciale Steve Witkoff di incontrare il Presidente Putin a Mosca». 

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È uno sfoggio d’ottimismo, forse eccessivo. Ma in questa settimana di diplomazia accelerata e caotica, ieri è emerso un primo risultato: gli ucraini hanno sostanzialmente accettato il piano americano, corretto a Ginevra con l’aiuto degli europei. Tranne per un punto: le concessioni territoriali, che si era deciso di lasciare direttamente a Volodymyr Zelensky e Donald Trump. Per questo, gli ucraini chiedono un incontro prima possibile, «anche attorno al Ringraziamento».

Intanto ieri si è saputo che nuovi negoziati, stavolta tra russi, ucraini e americani, sono partiti ad Abu Dhabi. La ricucitura tra Usa e Ucraina, voluta dal segretario di Stato Usa Marco Rubio, ha spiazzato i russi. Che certo non si aspettavano che il patto «Witkoff-Dmitriev» (il piano dei 28 punti) fosse riscritto riga per riga a Ginevra fino a diventare un documento in 19 punti. Come ha detto il vicepremier ucraino Sergiy Kyslytsya, «praticamente niente è rimasto come in originale». È stato Sergey Lavrov, il ministro degli Esteri di Putin, a dare una prima risposta. Lavrov ha dichiarato che la Russia aveva «accolto favorevolmente» il piano statunitense iniziale. Aggiungendo che «se lo spirito e la lettera di Anchorage (l’incontro tra Trump e Putin in Alaska, ndr) vengono cancellati nei termini delle intese chiave che abbiamo stabilito, allora, naturalmente, la situazione sarà radicalmente diversa». Non un rigetto pieno, però senz’altro uno stop. Intanto, i negoziati si sono spostati negli Emirati. Dove è volato direttamente da Ginevra Dan Driscoll, il segretario dell’Esercito americano (e uomo del vicepresidente JD Vance). 

Ad Abu Dhabi c’era, nelle stesse ore, il gran convegno di spie ucraine e russe. La parte ucraina era guidata da Rustem Umerov, il consigliere per la sicurezza nazionale di Zelensky (ma anche l’uomo di contatto con il team Witkoff-Dmitriev); e soprattutto Kyrylo Budanov, il capo dei servizi militari e l’ideatore delle più ardite operazioni d’intelligence ucraine, l’uomo che a più riprese Putin voleva morto. Peri russi, invece, come ha rivelato un’altra volta Axios, c’erano il capo del famigerato Gru (l’intelligence militare), Igor Kostyukov, e quello dei servizi esteri, Sergej Naryshkin. Come a dire, il meglio degli eredi del Kgb, il vero potere dello Stato. È con loro che aveva appuntamento l’americano Dan Driscoll.

Non è chiaro il formato dei colloqui, probabilmente bilaterali. Ma a chi pensa che non sono le spie a risolvere i conflitti, basti ricordare la Bosnia: dove l’uomo di contatto con l’inviato Usa Richard Holbrooke fu Sasa Stanisic, il capo degli «apparati» di Milosevic — come si capì anni dopo: talmente decisivo che la Cia testimoniò in suo favore al processo all’Aia. In ogni modo, le carte — come direbbe Trump — sono sul tavolo. 

Gli ucraini si dicono fiduciosi. Andriy Yermak, il capo dello staff di Zelensky, ha dichiarato: «Penso che sia una decisione storica che il presidente Trump e gli Stati Uniti hanno dato garanzie che l’Ucraina non ha mai avuto prima». La situazione si è ribaltata in una settimana. Spetta adesso a Putin dire se accetta di parlare di pace, o se — di fronte a una proposta concreta di americani e ucraini — il rifiuto di farlo questa volta diventerà ufficiale.

26 novembre 2025 ( modifica il 26 novembre 2025 | 08:34)