La Food and Drug Administration (FDA) ha aggiornato le avvertenze sui vaccini a mRNA contro il COVID-19, riportando un’incidenza stimata di miocardite pari a circa 8 casi ogni milione di dosi somministrate nella settimana successiva alla vaccinazione nella popolazione tra 6 mesi e 64 anni, con un’incidenza osservata più elevata nei maschi tra i 12 e i 24 anni, pari a circa 27 casi per milione. Sebbene il rischio fosse già segnalato dal 2021, la FDA ha aggiornato le indicazioni sul profilo di rischio nei documenti ufficiali dei vaccini a mRNA, ampliando la fascia d’età considerata e specificando una frequenza più elevata nella popolazione giovane.

La miocardite, un’infiammazione del miocardio di solito lieve, è stata valutata diversamente dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC), che non hanno rilevato un aumento del rischio nei dati federali a partire dal 2022. Secondo i CDC, inoltre, i casi post-vaccinali tendono a risolversi spontaneamente e risultano clinicamente meno severi rispetto a quelli causati dall’infezione da SARS-CoV-2.

La decisione della FDA si inserisce in un contesto istituzionale in evoluzione, segnato dalla nomina di un nuovo comitato consultivo sui vaccini composto da esperti con prospettive diverse in tema di immunizzazione. Parallelamente, la direzione dell’Agenzia ha rivisto le raccomandazioni sui richiami annuali, attualmente indicati solo per soggetti anziani o ad alto rischio, sottolineando la necessità di sottoporre gli aggiornamenti stagionali dei vaccini a una valutazione regolatoria più rigorosa.

Alcune voci dal mondo accademico hanno espresso riserve su questo approccio. Robert Morris, docente presso l’Università di Washington a Seattle, ha affermato: «È giusto valutare il rischio di miocardite associato al vaccino, ma la soluzione proposta è completamente sbagliata. Dovremmo identificare i soggetti predisposti, per agire in modo selettivo».

Prima di assumere incarichi direttivi presso la FDA, alcuni degli attuali funzionari avevano già espresso riserve sull’estensione delle raccomandazioni vaccinali ai giovani adulti, ipotizzando che in questa fascia d’età il rapporto rischio/beneficio potesse risultare meno favorevole. Tali posizioni furono oggetto di critiche da parte di numerosi esperti, inclusi rappresentanti dei CDC.