Il regista si è raccontato in vista del traguardo: «Tornare a girare in Italia? Mi piacerebbe, è uno di quei posti in cui è bello stare»

Quest’anno il 1° dicembre è un giorno particolare per Woody Allen. Ne fa 90, di anni, noi ricordiamo la sua giovinezza dal divertente Radio days. Si sa che il regista non considera molto il compleanno, ma la data è rotonda, forse ci sarà una festa a sorpresa: come passerà la giornata? «Spero solo che il giorno in cui compirò 90 anni potrò trascorrerlo in modo tranquillo e senza imprevisti e andare avanti così in buona salute». Allen parla dei progetti cinematografici, della difficoltà di girare film, della tv che lo ignora (in America c’è ancora ostracismo nei suoi confronti dopo le accuse di molestie rilanciate dalla figlia adottiva Dylan Farrow), del suo primo romanzo «Che succede a Baum?» edito in Italia dalla Nave di Teseo. Chi sarà il Baum del titolo? Nella copertina si dice che nessuno è in grado di capirlo: ma potrebbe essere un personaggio perfetto anche per un suo film.
Quanto Woody c’è in Baum?
«Tutte le storie sono inventate, ma la prospettiva e le idee riflettono le mie. I sentimenti nei confronti dei personaggi sono miei».
Baum ha un suo doppio: lei rispetta gli alter ego?
«Le persone tendono a confondermi con i personaggi di cui scrivo. Ci sono somiglianze superficiali, ma nulla di ciò che è accaduto a Baum è accaduto a me. Non ho un fratello, non vivo in campagna, non sono un romanziere fallito, non ho mai avuto un’amante trasferita in Nuova Zelanda per diventare una pastorella: è tutto inventato».
Quali sono le reazioni americane sul libro?
«Non ne ho idea, non leggo le recensioni e non ho ancora incontrato qualcuno che lo abbia letto». 
Ma è stato invitato in tv a parlarne?
«Ho fatto alcuni podcast, ma non sono mai apparso in televisione. Nessun programma mi ha invitato».
Lei, newyorkese convinto, è andato dopo molto tempo a presentare il romanzo a Los Angeles. Quale impressione ha avuto?
«Ho fatto un podcast a Los Angeles e le persone sono state molto gentili. Mi piace andarci ogni tanto per qualche giorno per vedere alcuni amici che vivono lì».
Quale sorpresa ha avuto dalla società americana in questi mesi?
«Lo spirito americano è fondamentalmente democratico e non soccomberà alle tendenze autoritarie di questa particolare amministrazione. Penso che andrà tutto bene».
Ma qual è il sentimento di New York e dei cittadini americani dopo l’arrivo di Trump e l’elezione del nuovo sindaco?
«Sono sorpreso dal successo dei repubblicani alle elezioni politiche. Sono democratico e ho votato per Kamala Harris, e voterei di nuovo per lei se si candidasse oggi. Ma l’America è una democrazia, spero che alle prossime consultazioni la gente sceglierà con più saggezza».
Girerebbe un film sul presidente o è troppo anche come finzione?
«Non sono mai stato un regista politico e non ho intenzione di occuparmi di una politica che cambia di giorno in giorno, di momento in momento. È meglio lasciarla alla satira televisiva».
Ha detto che ha una bella idea per un film: che genere? 
«
Ho un paio di idee cinematografiche molto forti che vorrei girare negli Stati Uniti. Il problema è quello di sempre: trovare i finanziamenti. Anche se fossi un regista low-cost, avrei bisogno di quindici milioni di dollari per realizzare il mio film e, sebbene sia quasi una miseria per gli standard di oggi, è comunque difficile ottenerli».
Hanno sollevato polemiche i suoi elogi del cinema russo e la possibilità di girare un film a Mosca. Ha poi chiarito la sua posizione sulla guerra a favore dell’Ucraina. Ma le piacerebbe lavorare in Russia per un film, anche non ispirato al suo amato Tolstoj?
«Non potrei lavorare in Russia perché non conosco bene i luoghi. Credo sia molto importante per noi del mondo dell’arte cercare di non lasciare che il predominio bellico abbia la meglio. Penso che sia importante per l’artista rimanere in contatto con tutti gli altri Paesi, indipendentemente dai conflitti politici. Più pacifici sono gli scambi commerciali, maggiori sono le possibilità di avere un mondo in pace».
A che punto è il dibattito sulla cultura woke negli Stati Uniti? Il film di Guadagnino «After the Hunt», girato all’Università di Yale, parla di «Mee too». 
«Conosco molto poco della cultura woke. Penso che qualsiasi movimento che contribuisca in modo positivo alle persone sia sano, mentre la cancel culture è semplicemente stupida».
Ha qualche progetto di teatro?
«Ho spettacoli teatrali in diversi paesi del mondo e sto sempre sperimentando un copione da qualche parte. Qualsiasi compagnia italiana sia interessata ai miei spettacoli ha l’opportunità di contattare un agente e mettere in scena una buona produzione».
C’è qualcosa che vorrebbe raccontare sulla società americana?
«Come ho detto, non sono un regista politico e se girassi un film oggi, probabilmente lo farei sulle relazioni umane, all’interno delle famiglie, non su approfondimenti sociologici».
Ha visto film che le sono piaciuti di recente? 
«Per quanto riguarda i film attuali, ultimamente guardo soprattutto documentari e mi è piaciuto quello su Leni Riefenstahl».
Da molto tempo non viene in Italia, dove molte cose sono cambiate. Potrebbe lavorare di nuovo da noi?
«Sì, potrei essere molto felice di girarci un film perché è uno di quei Paesi in cui è bello trascorrere del tempo».



















































27 novembre 2025