Il bilancio continua ad aggravarsi, con il numero delle vittime salito a 75. Il fuoco è divampato nel cuore di Wang Fuk Court, complesso residenziale di duemila appartamenti, distribuiti in otto grattacieli da 32 piani, nel distretto settentrionale di Tai Po a Hong Kong. Le fiamme hanno bruciato per ore le impalcature di bambù da cui erano rivestiti gli edifici, trasformandoli in torce. C’è voluto quasi un giorno prima che i vigili riuscissero a fermarle. I dispersi sono quasi trecento, una trentina di persone è finita in ospedale, alcuni in gravi condizioni. Il bilancio è provvisorio. Derek Armstrong Chan, vicedirettore dei vigili del fuoco, ha detto che il calore all’interno delle torri ha impedito alle squadre di salire ai piani superiori. «Non siamo in grado di raggiungere le persone intrappolate, ma continueremo a provarci», ha assicurato.
La tragedia, le cui immagini terribili sono rimbalzate da un social all’altro, ha suscitato forti polemiche. Hong Kong è uno degli ultimi posti al mondo dove il materiale, altamente infiammabile, viene impiegato sistematicamente nel settore edilizio. Il governo si è impegnato alla sua graduale eliminazione a marzo, ma viene tuttora utilizzato. I soccorritori, inoltre, hanno detto di avere trovato del polistirolo all’interno degli edifici in fiamme, che avrebbe causato una propagazione dell’incendio più rapida rispetto al normale. Le cause del rogo nel complesso residenziale di edilizia popolare dove abitavano in 4.600 persone, in buona parte anziani, sarebbero colpose: tre persone sono state arrestate. Secondo le testimonianze dei residenti, tuttavia, gli allarmi sono scattati in ritardo, dopo che il rogo era già divampato in differenti strutture. Ad avvertire le persone sarebbero state le guardie, le quali avrebbero bussato appartamento per appartamento. Il governatore di Hong Kong, John Lee, ha promesso un’indagine. Nel frattempo, però, le legislative del 7 dicembre potrebbero saltare. Il presidente cinese Xi Jinping ha espresso il suo cordoglio per le vittime e chiesto di «fare tutto il possibile» per contenere l’emergenza.
Il governo intanto ha annunciato ispezioni su tutti i ponteggi della città e non esclude il passaggio al metallo per una parte significativa dei nuovi progetti pubblici. Una scelta che tocca un nervo culturale: il bambù, bandito nella Cina continentale dal 2022, a Hong Kong è percepito come un patrimonio identitario. Mentre alcuni esperti evocano il precedente della Grenfell Tower di Londra per la similitudine nella propagazione esterna delle fiamme, molti residenti respingono l’idea di abbandonare una tecnica ritenuta parte integrante della storia e dell’estetica cittadina, apprezzata anche dai coloni di britannici che scelsero di preservarla dopo il loro arrivo sull’isola nel 1841.
Già prima della tragedia, le autorità avevano avviato una graduale riduzione dell’uso delle impalcature di bambù per motivi legati alla sicurezza dei lavoratori. La questione era tornata d’attualità in ottobre, dopo un incendio in un edificio circondato da ponteggi nel distretto finanziario. Sui social cinesi è nel frattempo diventato virale l’hashtag “Perché a Hong Kong usano ancora le impalcature di bambù”, con molti utenti che invocano un cambio di rotta più in linea con gli standard delle grandi metropoli continentali. Ma lavoratori e sindacati dell’ex colonia continuano a difendere questa tradizione, ricordando che norme rigorose regolano materiali, spessori e tecniche di montaggio. Secondo molti giovani sui social ed attivisti pro-democrazia, il problema non è il bambù, ma il mancato rispetto delle regole nel “sistema decadente” della Hong Kong post-legge sulla Sicurezza Nazionale.