In questi giorni, ogni anno, gli italiani si fanno una domanda, e me la faccio anch’io, che a volte – non so: coi mondiali di calcio – fatico a sintonizzarmi col sentimento nazionale, ma non in questo caso; in questo caso, a ogni inizio d’agosto, io come tutti mi chiedo: e ora che farà per undici mesi Filippo Bisciglia?
Filippo Bisciglia ha realizzato il sogno di tutti noi: fare un lavoro molto ben pagato che t’impegna per poche settimane l’anno, e poi godersela il resto del tempo. Ma non è detto che vada così: la televisione rende smaniosi, e magari Bisciglia il resto dell’anno inaugura discoteche e profumerie, io che ne so. Io di Bisciglia non so niente, ho scoperto nei giorni scorsi.
Ogni volta che parlo a nome del paese io ricordo una rubrica di Michele Serra su Panorama, trentacinque o giù di lì anni fa. Diceva più o meno: se milioni di persone guardano “Beautiful”, una notevole puttanata, i giornali titolano “L’Italia impazzisce per Beautiful” – si vede che non sono italiano.
Figuriamoci quando, decenni e molti decessi dell’intrattenimento popolare come fenomeno di massa più tardi, il successo strabiliante di “Temptation Island” consiste in quattro milioni di spettatori, una cifra per cui trent’anni fa ti avrebbero chiuso il programma e per cui oggi si grida al miracolo.
C’è sempre quell’aneddoto di Brando Giordani che, erano gli anni Ottanta, dice agli autori d’un programma minore Rai che insomma, si rischia di venire chiusi, con quei numeri, e i numeri erano dodici milioni di spettatori a puntata, e quarant’anni dopo quegli autori venderebbero le anziane madri non per fare dodici milioni con un programmino qualunque, ma per farli in un varietà del sabato sera: oggi dodici milioni se sei fortunato ti guardano a Sanremo.
(C’è un’interessante questione di numeri tra l’internet e la tv. L’internet, a parte casi come Ferragni o Kardashian, ha numeri ancora più piccoli e però molti più soldi. La tv, come il cinema e i giornali e l’editoria disperatamente all’inseguimento del nuovo, deve supplicare carneadi – considerati però star grazie a qualche centinaio di migliaia di follower – di andare nei suoi programmi, programmi che hanno budget che uno con qualche centinaio di migliaia di follower incassa per tre storie sponsorizzate da un minuto l’una da girare nel suo tinello col telefono, senza neanche uscire dal pigiama).
Qualche giorno fa, un amico mi ha detto: chissà cosa direbbe, di Bisciglia, uno psicanalista. Non sapevo di cosa parlasse perché nel 2006 avevo già smesso di guardare il “Grande Fratello”, al quale Bisciglia concorreva. E nel quale, mi spiega l’amico, tradì la fidanzata davanti alle telecamere. La fidanzata, se ho capito bene, a quel punto se ne fece una ragione e uscì con un altro, i rotocalchi la fotografarono, la conduttrice del “Grande Fratello” disse a Bisciglia ciò che Bisciglia dieci o vent’anni dopo dirà ai partecipanti di “Temptation Island”.
Stiamo parlando di un altro mondo. Un mondo in cui il “Grande Fratello” ti rendeva abbastanza noto da andare i rotocalchi a fotografare la tua fidanzata mentre tu eri in trasmissione (un mondo in cui esistevano i rotocalchi e i paparazzi, anche).
Quindi: a Bisciglia fanno vedere le foto della sua fidanzata che lo tradisce (dopo che lui ha tradito pubblicamente lei), poi la fidanzata va a fare la tronista a “Uomini e donne”, che adesso è l’esito professionale ideale di chi esce da “Temptation Island”. Un po’ come quando l’Italia impazziva per “Beautiful” (cit.), trattasi di riproduzione in cattività.
Lì erano sempre i Forrester, i due figli o il padre, che nello stesso ristorante, il Café Russe, incrociavano e tradivano e s’innamoravano sempre delle stesse due donne (nei primi anni Caroline e Brooke, in quelli successivi Taylor e Brooke). Adesso è il B system (cioè: la serie B dello star system, in un paese che però la serie A non ce l’ha) che si riproduce in maniera endogena, se non è “Temptation Island” è “Uomini e donne”, se non è “Uomini e donne” è “Grande Fratello”, se non è palinsesto invernale è estivo. Tranne Bisciglia, l’unico con un posto fisso nel palinsesto estivo, e l’unico che riproduca ogni anno, a ruoli invertiti, il meccanismo che lo rese celebre: ho un video per te.
Poi certo, come ogni anno “Temptation Island” ha fatto da specchio non solo alla biografia di Bisciglia ma alle vite di tutti noi. Ci ha messo davanti a relazioni che dovrebbero essere finite da un pezzo, mica per le corna: ma lei che rinfaccia a lui che a tavola gli diceva «buona l’acqua?» dopo che lui se l’era versata solo per sé, e lui comunque non coglieva e non gliela versava, ma lei con lui perché ci è stata per anni, perché piange se lui guarda un’altra, perché ci è uscita una seconda volta, con questo vertiginoso scostumato? Perché non gli ha detto «brutto cafone», invece di fare domande passivoaggressive?
Ci ha messo davanti a tutti gli avvocati analfabeti che abbiamo avuto: io ne ho avuto uno che diceva «chapeau», e credevo li battesse tutti, poi ho visto quello che con una dizione da brividi spiegava alla fidanzata che «“Temptation” mi serviva per effettuare a me stesso un percorso con gli amici che mi ero formato lì dentro», e ho pensato che la più gran truffa che Manzoni abbia congegnato è stata convincerci che gli avvocati ci sapessero fare con le parole.
Ci ha messo di fronte al problema dei romani con le finali degli infiniti verbali, roba che Vittorio Gassman si sarà rivoltato nella tomba: non te devi sofferma’, dovremmo analizza’, tutte queste cose che so’ successe, non è che io so’ entrato con l’intento.
Ci ha messo di fronte al confine tra pubblico e privato, che certo non esiste più, certo non vediamo l’ora di far sapere a platee di sconosciuti a che ora abbiamo fatto colazione e dove andiamo in vacanza e che prodotti ci sono nel nostro bagno, ma poi da qualche parte, nel sottoscala della ragione, pensiamo ancora in termini reputazionali, e quindi prima la gente va in un programma il cui scopo precipuo è cornificarsi (scusate: fare un viaggio nei sentimenti) e poi, quando arrivano le corna (scusate: il percorso), si costerna e s’indigna per la brutta figura con chi ci guarda da casa: «La storia romantica davanti ai miei genitori, ma che stiamo a scherza’, io c’ho il rispetto».
Soprattutto, ci ha messo di fronte agli inserzionisti. A ogni interruzione pubblicitaria, arrivava lo spot di non so che prodotto ma so che lo slogan ossessivamente ripetuto era «in caso di secchezza vaginale», e all’inizio pensavo «in caso di secchezza vaginale, significa che non ti piace abbastanza», poi mi è venuto il sospetto che fosse il sottotitolo del programma, che la secchezza vaginale fosse una controindicazione di quegli uomini lì, e alla fine ho pensato meno male che la De Filippi è l’ultima rimasta a pagare tutti tantissimo, sennò finiva che Bisciglia doveva arrotondare e ce lo trovavamo a fare le telepromozioni in caso di secchezza vaginale, che come metafora del declino della tv generalista sarebbe stata un po’ troppo.