L’incidenza del tumore al pancreas continua a crescere sia a livello mondiale sia in Italia, ma parallelamente aumentano anche le possibilità di cura e le speranze di sopravvivenza. A spiegarlo è il professor Giorgio Ercolani, direttore del Dipartimento di Chirurgia dell’ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì e professore ordinario di Chirurgia generale all’Università di Bologna, che racconta come l’organizzazione multidisciplinare, le nuove terapie e l’introduzione della chirurgia robotica stiano cambiando la storia naturale di una delle neoplasie più complesse e aggressive.

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“Negli ultimi anni si è osservato un aumento di incidenza dei tumori del pancreas a livello mondiale e anche a livello Italiano – entra nel dettaglio il professor Ercolani -. Tuttavia grazie a un miglioramento delle possibilità di diagnosi precoce e soprattutto dei trattamenti sia sistemici (la chemioterapia) che chirurgici si è assistito a un progressivo innalzamento delle sopravvivenze”.

Professor Ercolani, negli ultimi tre anni in Italia il numero di persone vive dopo una diagnosi di tumore pancreatico è aumentato del 10%. Questo trend si riflette anche sul territorio romagnolo?
“Assolutamente sì, grazie alla maggior efficacia dei trattamenti chemioterapici combinati alla chirurgia, e alla presa in carico dei pazienti da parte di un gruppo di professionisti dedicati (il meeting multidisciplinare presente in Romagna e coordinato dalla sede di Forlì) in grado di scegliere l’approccio diagnostico e terapeutico migliore per ogni singolo paziente”.

Qual è la sua percezione quotidiana da primario: arrivano più pazienti, arrivano prima o la situazione diagnostica resta critica come dicono i dati nazionali?
“Sicuramente arrivano più pazienti e aver costituito un gruppo di professionisti dedicati (la Pancreas unit) ha aumentato l’attrattività; fortunatamente dai territori limitrofi arrivano
anche casi in fase iniziale o comunque identificati in stadi precoci, ma purtroppo abbiamo anche una certa mobilità da fuori regione di casi che effettivamente spesso sono diagnosticati in fase avanzata”.

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Quali sono i fattori che scatenano questo tumore?
“Diciamo che esistono alcuni fattori di rischio che, se associati, ne potenziano la pericolosità quali il fumo, l’alcool, l’obesità che dovrebbero essere contrastati in tutti i modi e poi sicuramente i pazienti con diabete o pancreatite cronica devono essere monitorizzati attentamente”.

Solo un paziente su cinque riceve una diagnosi quando il tumore è ancora localizzato. Qual è la percentuale dei casi diagnosticati precocemente nel vostro centro?
“Effettivamente è circa del 20-30%, e il dato stimola a richiamare campagne di informazione e divulgazione affinchè i cittadini siano attenti agli stili di vita che segnalato e a non sottovalutare qualsiasi situazione clinica che ponga qualche sospetto”. 

L’Ausl Romagna ha creato la “Pancreatic cancer unit”, di cui Forlì è centro di riferimento per la chirurgia. Come funziona?
“Si, Forlì è il centro leader all’interno della Ausl Romagna per il trattamento dei tumori pancreatici; abbiamo un gruppo di professionisti (gastroenterologi, radiologi, oncologi, patologi, chirurghi e colleghi di altre specialità) dedicati a queste patologie. Ogni settimana il gruppo multidisciplinare organizza un meeting (in parte in presenza ed in parte in call a distanza) insieme ai colleghi che seguono pazienti con neoplasie pancreatiche negli altri distretti dell’Ausl Romagna per valutare e definire insieme l’iter diagnostico e terapeutico di ogni singolo caso clinico”.

Sul fronte delle terapie, quali innovazioni possono oggi beneficiare i pazienti che arrivano all’Ospedale di Forlì?
“In collaborazione con l’Irst Irccs di Meldola possiamo offrire i migliori approcci combinati di radio e chemioterapia associati a chirurgia. Dal punto di vista strettamente chirurgico abbiamo iniziato un programma di chirurgia pancreatica robotica e siamo tra i primi 13 centri in Italia all’interno di un Registro nazionale che raccoglie i dati su tutto il territorio con risultati al momento incoraggianti; per i pazienti rappresenta una grande opportunità di poter ricevere interventi complessi con tecnica mini-invasiva che fino a pochi anni fa richiedevano “laparotomie” (incisioni chirurgiche) molto grandi e dolorose”.

Capitolo ricerca: ci sono progressi nell’ultimo anno?
“Proprio qualche giorno fa è stato pubblicato su Lancet (importante rivista scientifica) un lavoro multicentrico coordinato dal San Raffaele di Milano al quale abbiamo partecipato insieme con i colleghi dell’Irst Irccs di Meldola sull’utilizzo di una combinazione di chemioterapici (chemioterapia neoadjuvante) seguita poi da chirurgia che ha ottenuto un miglioramento delle sopravvivenze. Ci sono numerosi altri studi in corso e ritengo che solo attraverso la ricerca clinica potremo garantire ulteriori miglioramenti ai nostri pazienti nel futuro”.

Quali sono i segnali che lei consiglia di non sottovalutare e che dovrebbero spingere un cittadino a rivolgersi al medico?
“Innanzitutto sottolineo di avere sempre un corretto stile di vita con una sana alimentazione associata al movimento evitando la sedentarietà. I sintomi iniziali sono spesso aspecifici, ma la comparsa dolori addominali inspiegabili, perdita di peso, innalzamento improvviso della glicemia, disturbi digestivi possono rappresentare un campanello d’allarme da riferire al proprio medico”.