di
Rosalba Graglia

La figlia Chiara: «Il progetto architettonico del locale da ballo è totalmente di mio padre, Mollino ha realizzato le decorazioni, la ringhiera della balconata e delle scale, gli arredi, le finiture. Suo anche il Cinema Lutrario»

Carlo Alberto Bordogna è stato uno dei grandi architetti torinesi, una passione cominciata da ragazzo, a 15 anni, fino alla laurea in Architettura al Politecnico di Torino nel 1945. Dal dopoguerra incarna la figura dell’architetto-urbanista della ricostruzione e disegna il nuovo volto della Torino dagli anni Sessanta. La figlia Chiara, anche lei architetto, come la nipote Elena, ha raccontato in un bel volume pubblicato da Allemandi nel 2001 i 65 anni di architettura di suo padre che si dichiarava «pronto a rifare tutto con lo stesso entusiasmo».

Come è stato vivere con un padre così entusiasta e impegnato, che ricordi ha da bambina?
«La nostra era una casa-studio, abitavamo in una parte e nell’altra lavorava mio padre e io giravo liberamente fin da piccola, avrò avuto 8-10 anni, fra tecnigrafi, tutti rigorosamente verticali, vedevo mio padre tracciare schizzi insieme ai suoi collaboratori, il suo entusiasmo, i progetti che prendevano vita. È da allora che ho deciso che anch’io avrei fatto quel lavoro. Lui era un padre speciale, mi ha trasmesso la sua capacità di amare l’architettura e non solo. Era sempre disponibile, se qui in casa qualche vicino aveva un problema, lui c’era. Quando ero malata, veniva lui a sistemarmi le coperte. Trovava tempo per tutto e per tutti. Si andava in vacanza a Sanremo, dove aveva progettato al Parco Marsaglia una casa che era piaciuta molto a Giò Ponti che l’aveva pubblicata su Domus. E poi in campagna, nel Monferrato, dove dipingeva splendidi acquerelli di fiori, l’orto, le colline. Mio padre era infaticabile, non si fermava mai, era capace di passare tutta la notte a fare progetti per un concorso, e non si accontentava mai di proporre un unico progetto, ma almeno tre varianti».



















































Anche suo padre aveva scelto il suo futuro da giovanissimo.
«Sì a 15 anni era già nello studio dell’ingegner Giuseppe Cornaglia, a imparare le prime tecniche di architettura, poi si è diplomato geometra nel 1935 e Ingénieur Spécialiste en Constructions Civiles presso l’Institut Technique Supérieur di Friburgo nel 1940, e ha insegnato negli istituti tecnici. Nel ’39 è stato richiamato alle armi, prima nel Genio, poi agli Alti Comandi di Torino dove progettava rifugi e opere diverse, come la Scuola Alpini di Aosta. Raccontava sempre come tutti si stupissero della sua preparazione, lui così giovane. Quindi la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, il 16 luglio del 1945. Tre mesi dopo si sposava con mia madre, Linda, che aveva conosciuto cinque anni prima, giocando a tennis, quando lei aveva solo 17 anni».

«Carlo Alberto Bordogna era molto amico di Carlo Mollino ma la discoteca Le Roi l'ha progettata lui»

E da allora ha cominciato a portare avanti il suo progetto di architettura innovativa.
«Sì, e in settori inaspettati. A Trieste si è occupato di progettare gli interni delle navi, vincendo concorsi e anche con spazi per le proiezioni cinematografiche. Si usciva dalla guerra, c’era voglia di ricominciare a vivere, a viaggiare. A Torino mio padre ha progettato edifici che hanno cambiato il volto della città e dei suoi dintorni: dal Grand Hotel Ambasciatori al centro direzionale Ferrero a Pino Torinese (finito persino nel Carosello del cioccolato), gli uffici direzionali Pianelli & Traversa a Rivoli. E tanti cinematografi: il Bernini, il Cristallo, l’Odéon, l’Adua, il Lutrario…».

Il Lutrario? Con Mollino?
«Papà era amico di Mollino, aveva lavorato anche con suo padre, Eugenio. Si frequentavano fin dagli anni 30, c’è una foto che li ritrae insieme alla Fiera di Milano nel 1934, mio padre aveva 21 anni, Mollino 29. Carlo Mollino apprezzava le capacità tecniche di mio padre, hanno lavorato insieme alla Società Ippica, che purtroppo non esiste più, allo Chalet del Lago Nero, lo ha voluto come suo assistente all’università. Mollino veniva spesso qui da noi, mangiava il risotto alla milanese che preparava mia mamma, faceva complimenti alle segretarie, poi con mio padre decidevano insieme particolari importanti, erano gli anni in cui si stava realizzando il palazzo di Italia 61, ma al concorso arrivarono secondi e come è noto la realizzazione fu affidata a Nervi.

E il Lutrario?
«Il cinema Lutrario è un progetto architettonico tutto di mio padre, abbiamo ritrovato in archivio l’intera documentazione. Il committente Attilio Lutrario, essendo stato bocciato in Comune il progetto proposto dall’architetto Nicolay Diulgheroff, chiamò mio padre a sostituirlo e lui in tre mesi, quasi una follia, riuscì a progettare e a realizzare il cinema come lo voleva Lutrario e in regola con le nuove norme di sicurezza. Progettò anche l’officina meccanica accanto alla casa di Lutrario in via Stradella, poi trasformata in sala danze, il famoso Le Roi».

Anche Le Roi è un progetto di suo padre?

«Mio padre e Mollino si sono divisi i compiti. Il progetto architettonico è totalmente di mio padre, Mollino ha realizzato le decorazioni, la ringhiera della balconata e delle scale, gli arredi, le “ finiture”. Mio padre quando leggeva qualche articolo diceva “ ma il Cinema Lutrario e Le Roi li ho fatti io”. C’è una lettera autografa di Mollino che lo spiega bene: Attilio Lutrario aveva incaricato Bordogna del progetto e su suggerimento di Bordogna, Mollino per le finiture proponendo per lui 2 milioni; poi Mollino aveva lasciato, era andato in America, e più tardi era rientrato e si era occupato di tutte le finiture. E in quella lettera propone a mio padre di suddividere il saldo offerto da Lutrario, 700.000 mila lire, 500.000 a mio padre e 200.000 per sé e aggiunge, chiamandolo carissimo collega e amico, “fai tu. Io continuerò a occuparmi della fine di questo benedetto lavoro che mi pare non riesca così brutto come temevo”. Mollino era così, aveva sempre bisogno di soldi. Ed è stato mio padre a coinvolgerlo, proponendo a Lutrario “di far divertire Mollino con le finiture” e gli arredi. Come diceva mio padre “Mollino non aveva i piedi per terra…ma se li avesse avuti non sarebbe stato Mollino”. Erano molto diversi, ma amici».

E sono rimasti amici?
«Certo, anzi Mollino aveva cercato mio padre perché collaborasse con lui al Regio. Ma all’epoca papà aveva ricevuto la proposta di realizzare un grande lavoro: la Rinascente, un progetto che trasformava il centro. Non accettò così la proposta di Mollino per il Regio e i due non avrebbero più lavorato insieme. Mio padre ebbe da allora molte offerte di lavoro, anche all’estero: progetti in Spagna, Colombia, in Perù, nell’allora Persia, in Brasile… Ha lavorato fino all’ultimo: 65 anni di architettura appunto. Fra pochi giorni, il 9 dicembre, l’evento di fine anno dell’Ordine degli Architetti e della Fondazione per l’Architettura si svolgerà proprio nella storica Sala Le Roi. E nell’invito è scritto “progettata dall’architetto Carlo Mollino”. Ecco, vorrei fosse un’occasione per ricordarli entrambi: hanno lavorato insieme, Le Roi è un progetto di Bordogna e Mollino. Il 4 dicembre è il giorno in cui è morto mio padre, 28 anni fa, sarebbe un bel modo di ricordarlo. E Carlo Alberto Bordogna meriterebbe anche un’intitolazione, per ricordare il suo lavoro e l’impegno per la sua città».


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30 novembre 2025 ( modifica il 30 novembre 2025 | 10:20)