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I dettagli sulle intercettazioni dell’inchiesta della procura di Milano sull’operazione con cui MPS ha comprato Mediobanca, pubblicati da diversi giornali, stanno confermando un sospetto che gli esperti avevano da tempo: cioè che dietro l’acquisizione ci sarebbe stata una regia nascosta dei soci rilevanti delle due banche, l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin, cioè il gruppo della famiglia Del Vecchio (quelli di Luxottica). I due gruppi insomma si sarebbero coordinati per arrivare all’acquisto di Mediobanca e quindi indirettamente della grande compagnia di assicurazioni Generali, di cui Mediobanca è prima azionista.
È un intreccio molto complicato di interessi, reso se possibile ancora più complesso dal presunto coordinamento che ci sarebbe stato anche con l’amministratore delegato della stessa MPS Luigi Lovaglio – che in una telefonata ha definito Caltagirone il «vero ingegnere» di tutta l’operazione – e con il governo, che tramite il ministero dell’Economia è azionista proprio di MPS e a quanto emerge sembrava a conoscenza dell’operazione.
Semplificando molto: la procura vuole dimostrare che tutta l’operazione è stata ispirata non da progetti economici e industriali per le due società – entrambe quotate in borsa, con obblighi di legge a tutela degli interessi degli investitori e anche vigilate dalle autorità finanziarie – ma dagli obiettivi politico-economici di due soci, che secondo l’accusa avrebbero nascosto il coordinamento alle stesse autorità di vigilanza, violando la legge. Ci sarebbe anche la connivenza del governo, che però al momento non è indagato. Facciamo ordine.
I reati contestati sono l’aggiotaggio, cioè la diffusione di notizie false per influenzare il prezzo dei titoli quotati, e l’ostacolo alle autorità di vigilanza.
Il primo indagato è Francesco Gaetano Caltagirone, uno degli imprenditori più potenti d’Italia, e proprietario del gruppo Caltagirone Spa. È un immobiliarista che ha costruito mezza Roma, editore di diversi giornali – tra cui il quotidiano romano il Messaggero, quello napoletano il Mattino e quello veneziano il Gazzettino – su cui sono talvolta evidenti i conflitti di interessi con gli affari di famiglia. Caltagirone è anche azionista delle più grandi banche e società finanziarie italiane, tra cui proprio MPS, Mediobanca, e il gruppo assicurativo Generali. Di Generali Caltagirone è stato anche vicepresidente.

Francesco Gaetano Caltagirone a un evento del Messaggero, a giugno (Cecilia Fabiano/LaPresse)
Il secondo è Francesco Milleri, presidente del gruppo Delfin, società con sede in Lussemburgo sotto cui ricadono tutti gli interessi della famiglia Del Vecchio. Anche Delfin è un importante azionista di MPS, Mediobanca e Generali.
Negli anni è stato sempre molto notato che Caltagirone e Delfin-Del Vecchio facevano le stesse mosse sul mercato, e la lettura condivisa da molti esperti e analisti era che i loro investimenti erano volti a costruire una fitta rete di partecipazioni incrociate per arrivare infine al controllo di Generali, azienda considerata il “fiore all’occhiello” della finanza italiana, molto redditizia, e di cui ambiscono a gestire l’enorme patrimonio immobiliare e anche la legittimazione politico-economica che ne deriva.
Non c’è niente di vietato in sé, se non fosse che la percezione è che i loro investimenti siano sempre stati concordati e coordinati, percezione che la procura punta a dimostrare: loro lo hanno sempre negato perché è una circostanza vietata o fortemente limitata dalle leggi finanziarie in caso di complessi schemi di partecipazioni reciproche, come quello in cui sono coinvolti. In questi casi bisogna darne comunicazione alle autorità di vigilanza e rendere evidenti eventuali conflitti di interessi, cosa che i due soci non hanno mai fatto.

Francesco Milleri nel 2022 (LaPresse)
Non riuscendo a comprarla direttamente, hanno comprato azioni di società che a loro volta hanno azioni in Generali. E tra queste c’è proprio Mediobanca, una delle più importanti e storiche banche italiane, che è il primo azionista di Generali. I due gruppi avrebbero adottato quindi lo stesso schema usato per Generali anche per arrivare a controllare Mediobanca: hanno comprato quote in MPS, e questa a sua volta ha avviato l’operazione di acquisto di Mediobanca, con una delle operazioni economiche più clamorose degli ultimi anni.
MPS è la banca senese che per anni è stata disastrata dalla crisi e dagli scandali: dopo numerose operazioni di salvataggio alla fine era diventata di proprietà del ministero dell’Economia, che da qualche anno sta però cercando di vendere la sua partecipazione a privati. A novembre aveva venduto una quota proprio a Caltagirone e Delfin, con modalità che la procura ritiene non del tutto trasparenti (e su questo torniamo dopo).
L’amministratore di MPS è Luigi Lovaglio, il terzo indagato insieme a Caltagirone e Milleri. Aveva sempre definito l’operazione su Mediobanca come indipendente dagli schemi di Caltagirone e Delfin. Non era mai stato del tutto convincente, anche perché non c’erano molte altre ragioni a giustificare l’operazione: MPS era una banca più piccola di Mediobanca, molto diversa e senza reali punti di contatto a rendere l’acquisizione sensata dal punto di vista bancario.
Sui giornali sono stati pubblicati alcuni passaggi delle intercettazioni a cui sono stati sottoposti i tre, e che a dire della procura proverebbero che agivano in concerto.
«Generali è strategica fin dall’inizio» ha detto Lovaglio a Caltagirone in una telefonata del 5 maggio, nei giorni in cui Mediobanca aveva annunciato un’operazione con cui puntava a liberarsi della sua quota in Generali per tentare di eliminare l’oggetto del contendere e di scoraggiare MPS a proseguire l’acquisto (operazione poi non riuscita).
Il 18 aprile del 2025, il giorno dopo l’assemblea di MPS con cui è stato deciso l’aumento di capitale necessario a comprare Mediobanca, Lovaglio (MPS) disse a Caltagirone: «Il vero ingegnere è stato lei, io ho eseguito solo l’incarico». «Ha ingegnato una cosa perfetta, quindi complimenti a lei per l’idea», ha ribadito Lovaglio a Caltagirone, che ha risposto: «Perfetto, grazie. È andata come doveva».

Luigi Lovaglio, a settembre (Ansa)
MPS ha acquistato Mediobanca tramite una cosiddetta Offerta Pubblica di Scambio, cioè una delle diverse modalità con cui si comprano le società quotate in borsa: MPS puntava a comprare Mediobanca non in denaro ma tramite le sue stesse azioni, una modalità che in gergo si chiama “carta contro carta”. Affinché l’operazione riuscisse serviva che gli azionisti di Mediobanca accettassero l’offerta di MPS, e quindi aderissero decidendo di scambiare le loro azioni Mediobanca con azioni di MPS di nuova emissione. Un azionista prende questa decisione se pensa che gli convenga dal punto di vista economico: e cioè se il valore delle azioni che riceve è più alto di quelle che ha, o se crede che l’unione delle due banche sia un’ottima idea.
Tra chi doveva prendere questa decisione c’erano proprio gli stessi Delfin e Caltagirone, che evidentemente avevano tutte le ragioni per aderire e che insieme detenevano il 35 per cento di Mediobanca. Il 35 per cento era proprio la soglia minima che MPS puntava a raggiungere per il successo dell’operazione, individuata dalla stessa Offerta Pubblica di Scambio. A livello di legge non sembrava un problema perché appunto Delfin e Caltagirone non potevano essere considerati insieme, dato che non avevano dichiarato di muoversi in modo coordinato.
Ma in un’altra telefonata intercettata Lovaglio parla con un manager dell’azienda, facendo trasparire che l’adesione di Delfin e Caltagirone era scontata: «Facciamo così perché abbiamo il 35 in mano, abbiamo già il controllo, l’avete capito o no?».
Così facendo, Delfin e Caltagirone hanno di fatto scambiato una quota importante ma minoritaria che detenevano in Mediobanca con la possibilità di controllare tutta Mediobanca in alleanza con MPS e quindi indirettamente anche Generali (di cui anche in quel caso prima dell’intera operazione avevano una quota minoritaria).
Uno dei possibili guai legali dell’intera operazione deriva anche fatto che la mancata comunicazione del coordinamento tra Delfin e Caltagirone li ha anche esonerati da un costosissimo obbligo di legge: quello di procedere a comprare una società quotata in borsa quando si arriva a possederne il 25 per cento (da poche settimane diventato il 30), e bisogna farlo tramite un’Offerta Pubblica di Acquisto Obbligatoria, pagandola in denaro e non tramite azioni. Il fatto che Caltagirone e Delfin non abbiano mai comunicato il loro coordinamento ha fatto sì che potessero avere insieme il 35 per cento di Mediobanca ma non fossero obbligati a offrirsi di comprarla tutta.
Ora, non è chiaro che effetti potrebbe avere l’indagine, visto che MPS ha già formalmente comprato Mediobanca, con un’operazione peraltro approvata da tutte le autorità di vigilanza (Consob e BCE, per esempio, che però non avevano gli elementi che ha raccolto la procura).
La procura poi sostiene che in tutta questa faccenda un ruolo lo abbia avuto anche il governo, in quanto azionista di MPS.

Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e Francesco Gaetano Caltagirone, nel 2024 (ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
Secondo le indagini la procedura con cui il ministero dell’Economia ha venduto parte delle sue quote di MPS a Caltagirone e Delfin, a novembre, sarebbe stata poco trasparente, e non è indagato per turbativa d’asta solo perché non ha messo le azioni in una gara pubblica.
Ha usato invece una procedura accelerata, comunque piena di «opacità e anomalie» a dire della procura: l’ipotesi è che questa procedura fosse proprio ideata per far comprare le azioni a Caltagirone e a Delfin, che peraltro le comprarono quando MPS non aveva ancora detto pubblicamente che avrebbe fatto un’offerta per comprare Mediobanca. Secondo la procura è difficile pensare che non si stesse già lavorando per farlo proprio con loro.
In questi giorni i partiti di opposizione al governo hanno chiesto che il ministro dell’Economia dia conto in parlamento di questa vicenda. Fonti del ministero hanno smentito qualsiasi coinvolgimento o interferenza nell’intera operazione.
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