di
Elisabetta Andreis
In centinaia hanno portato un fiore al campetto di via Dezza, per protestare contro chi rimuoveva quelli lasciati dalla mamma in ricordo del ragazzo morto nel 2017. Con il grande coach, 94 anni, molte glorie del basket
Milano si sveglia gialla. Ai cancelli dei giardini di via Dezza, sabato, c’erano centinaia di persone e migliaia di girasoli. Ma tra i primi ad arrivare, lento ma diritto, c’era Sandro Gamba. Quasi 94 anni, il bastone in una mano e dall’altra il braccio della stella che aveva guidato in Nazionale: Pierluigi Marzorati. Una leggenda all’assemblea spontanea che la città ha costruito attorno a un fiore, a un gesto, a un ricordo.
Gamba si è fermato davanti al campetto come davanti a una memoria familiare. «Anche io ho perso una figlia piccola», sussurra. «E con mia moglie Stella – l’amore della mia vita – non ne abbiamo avute altre». La sua voce si incrina mentre posa il girasole, lo tiene qualche secondo più del necessario, come se parlasse con qualcuno.
Attorno a lui passano altri nomi che hanno fatto la storia della pallacanestro: Davide Pessina, Peppe Poeta, poi più tardi i messaggi di Dino Meneghin, Dan Peterson, Maria Teresa Baldini, Pippo Ricci, Francesca Amendola. Tutti con un fiore. Tutti con lo stesso gesto. Sul cancello, tra biglietti e disegni, c’è scritto «Scusaci Alessandro».
È il nome di Alessandro Meszley, 15 anni, caduto qui nel 2017 mentre faceva «quattro tiri». Da allora, da otto anni, la mamma, Laura Scolari posa ogni giorno un girasole. Un gesto semplice. Un rito. Finché, qualche mese fa, una mano anonima ha iniziato a strapparli. Lei allora ha appeso un cartello: «Non strapparmi. Non mi sono più rialzato dopo essere caduto su questo campo». La risposta è stata un graffio nero: «Se tutti mettessero un fiore per un morto, Milano sarebbe una pattumiera».
La scintilla. Da lì è partita l’onda gialla. I fioristi del quartiere hanno esaurito i girasoli al mattino. Le squadre milanesi – Olimpia, Urania, Geas, Sanga, Stars, Big Crew – si sono mosse come un solo club: allenatori di minibasket, dirigenti delle giovanili, ragazze che escono dalle palestre, bambini che stringono i gambi con due mani. La città si è voltata verso via Dezza, come un girasole verso la luce.
Laura e Giorgio, i genitori di Ale, con i compagni di Ale che oggi hanno 23 anni, osservano il cancello che ormai è coperto di fiori, migliaia. «In questi giorni si è aperta una crepa — dicono —. Da lì è passato il dolore, ma anche un calore che non ci aspettavamo. La nostra bella Milano è questa». Poco lontano Gamba guardava ancora il campo come fosse un cortile della sua infanzia. «Io abitavo qui vicino, in via Washington», racconta. «Avevo dodici anni quando il 25 aprile ’45, nel parapiglia, mi ferirono alla mano. La riabilitazione fu lunga e un allenatore americano al campetto della Borletti mi regalò un pallone da basket per rimettermi in moto».
Un gesto gentile che gli ha cambiato la vita: «Pensare che volevo fare il ciclista…». Poi sorride e parla quasi tra sé: «Stella, mia moglie… era bellissima. L’ho conquistata per settant’anni». Si commuove pensando alla figlia persa, ma un fiore giallo può diventare gioco di squadra: ieri la cura passava di mano in mano, come un pallone. E adesso i girasoli proteggono il ricordo di una mamma ma anche quello di un papà-allenatore che ha attraversato quasi un secolo.
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30 novembre 2025
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