di
Paolo Valentino

Klaus-Michael Kühne, miliardario tedesco, ha offerto alla sua città di pagare 340 milioni per un nuovo teatro. Il Parlamento locale approva il progetto, ma gli oppositori insorgono: «Copertura dei profitti nazisti»

BERLINO – Un nuovo teatro dell’opera da oltre 500 milioni di euro non è esattamente quello di cui Amburgo ha bisogno. Con uno dei Pil pro capite più alti d’Europa, la città anseatica vanta infatti già la Elbphilharmonie, capolavoro dell’architettura contemporanea progettato sull’acqua da Herzog & De Meuron. Eppure, il Parlamento del Land ha approvato il progetto di una seconda Opernhaus sulle rive dell’Elba, nella Hafencity, quartiere residenziale nato in un’ex area portuale. 

Un nuovo teatro dell'opera ad Amburgo finanziato dal miliardario Kühne? Il Parlamento locale dice sì ma la gente protesta: l'ombra dell'olocausto

Il nuovo edificio è in buona parte un regalo: a finanziare di tasca sua i due terzi della costruzione (340 milioni) è infatti il miliardario Klaus-Michael Kühne, il più ricco dei tedeschi, ufficialmente perché pensa che la città sia culturalmente «un po’ in letargo», probabilmente perché vuole dedicarsi un monumento, che ovviamente porterà il suo nome. 



















































Ma una parte della popolazione non è d’accordo. Il giorno stesso del voto nella Hamburger Bürgerschaft, una petizione firmata da 10 mila cittadini con la richiesta di bloccare il progetto, è stata presentata al borgomastro. Di più, un gruppo di architetti, storici e urbanisti amburghesi ha chiesto più tempo, per aprire una discussione collettiva sull’opportunità di realizzare un’opera di cui la città non ha alcuna vera necessità. 

E qui entra in ballo la storia, il passato che non passa e che continua a presentare il conto ai tedeschi. È successo in primavera, quando un’indagine di Vanity Fair, raccontata sul Corriere da Mara Gergolet, ha rivelato che la famiglia Kühne deve le sue fortune al nazismo e alla spoliazione degli ebrei deportati e uccisi nei campi di concentramento. Militante della prima ora nella Nsdap, Alfred Kühne, il padre di Klaus-Michael, ottenne infatti per la sua compagnia di trasporti, la Kühne und Nagel, il monopolio per trasferire in Germania, dov’erano messi all’incanto, mobili, quadri e altri beni espropriati dal Terzo Reich agli ebrei nell’Europa occupata dalla Wehrmacht. 

Certo, i Kühne non sono la sola dinastia o azienda tedesca a essersi arricchita grazie alla cosiddetta «arianizzazione», corollario dell’Olocausto. 
I Quandt alla Bmw e i Faber-Castell nell’omonima fabbrica, per esempio, impiegarono gratis i lavoratori-schiavi detenuti nei lager, mentre la Deutsche Bank finanziò, lucrando grandi interessi, la costruzione di Auschwitz-Birkenau. Ma tutti in qualche modo hanno fatto ammenda, affidando a storici indipendenti indagini per chiarire le proprie pagine oscure o contribuendo agli indennizzi. 

Tutti, tranne Klaus-Michael Kühne, che ha un patrimonio di 36 miliardi di euro, paga le tasse in Svizzera e sostiene di non poterlo fare perché gli archivi di famiglia sarebbero andati distrutti nei bombardamenti alleati. «L’origine del patrimonio dei Kühne – spiega Cornelia Herth, vicepresidente dell’Unione federale dei perseguitati del nazismo – ha le sue radici nell’arianizzazione e nell’appoggio logistico all’espropriazione degli ebrei, accettarne il mecenatismo interessato equivale a minimizzare l’Olocausto». 

Come se non bastasse, poiché la Storia in Germania più che parlare urla, gli oppositori del progetto ricordano che proprio nel luogo in cui dovrebbe sorgere il nuovo Teatro, c’erano una volta i moli da dove nel 1904 si imbarcarono le truppe tedesche in partenza per la Namibia, dove si macchiarono del genocidio delle etnie Herero e Nama. Non proprio il genius loci per un teatro operistico.

1 dicembre 2025 ( modifica il 1 dicembre 2025 | 10:58)