di
Nicolò Fagone La Zita

Dal 2021 cresce l’emigrazione di ritorno in patria, a causa della crisi italiana. Domenica 30 novembre la festa di Sant’Andrea in piazza Castello

È una comunità particolarmente integrata nel tessuto sociale ed economico del territorio. E difatti è anche la più presente e numerosa. Si tratta della popolazione romena, riunitasi ieri, 30 novembre, in piazza Castello per festeggiare il patrono del Paese, Sant’Andrea, e anche la loro Festa nazionale, che cade per l’appunto il primo dicembre. E così a saltare e ballare in piazza, ieri, c’erano almeno 2 mila persone, impegnate in riti folkloristici. Tra tutti la danza Hora, il ballo dell’Unità, dove un enorme cerchio umano si tiene per mano e canta. Diversi anche i curiosi intenti a osservare, sottolineando ancora una volta la dimensione di Torino come città multietnica e legata all’accoglienza.

43mila romeni

Tant’è che oggi nel capoluogo vivono 43 mila romeni (138 mila in Piemonte), un numero leggermente in discesa rispetto al pre Covid, quando se ne contavano 5 mila in più. Una migrazione iniziata nel 1989, anno del crollo del muro di Berlino, che pose fine alle dittature socialiste dell’Europa dell’Est. Prima di questa data infatti i romeni che sceglievano di andare via erano prevalentemente intellettuali, per un esilio di carattere culturale e ridotto (dagli scrittori ai musicisti). Ben altra questione è l’emigrazione di massa avvenuta dopo il crollo del regime di Ceausescu. Un esodo di massa da un Paese devastato, con motivazioni di carattere economico. Una vera e propria diaspora: il 77% della popolazione abbandonò la patria per recarsi nei Paesi vicini: Italia, soprattutto, ma anche Spagna, Gran Bretagna e Germania, alla ricerca di un impiego.



















































Mestieri, studi e professioni

All’inizio erano soprattutto colf, badanti e muratori, mentre oggi, tra le 31 mila imprese straniere presenti nel Torinese, il 23% ha come titolari romeni (7.130). Ma non c’è da sorprendersi. Dei 221.169 cittadini non italiani residenti nel territorio metropolitano (dati 2024), infatti, ben 87.702 è di nazionalità rumena. Non solo. Oggi sono circa 2 mila i giovani romeni che frequentano le università torinesi, dal Politecnico a Unito. Se vent’anni fa erano i primi a svegliarsi sognando un futuro migliore, ora sono imprenditori di se stessi o credono in un futuro da avvocato e ingegnere. Torino ormai è la loro casa, ma non dimenticano le proprie origini. «Il loro contributo è fondamentale per la città — racconta l’assessore al Commercio, Paolo Chiavarino — ho partecipato anch’io alla festa, una delle più belle e sentite che abbia mai visto, con 150 danzatori. Parliamo di una comunità laboriosa che si è inserita alla perfezione. E nonostante oggi siano più istruiti, svolgendo qualsiasi impiego, sono ancora fondamentali dal punto di vista dei servizi e della cura alla persona, dalle badanti agli idraulici. Aiutano a tenere su l’intero sistema, con un valore aggiunto sempre più alto. Ciò che mi ha colpito di più — conclude — è la capacità di dialogo intergenerazionale, un aspetto che forse a noi manca. Inoltre mantengono la propria identità fondendola alla perfezione con i valori europei, con un grande senso di riconoscenza». 

Ritorno a Bucarest

Un patrimonio che però, oggi, si sta via via disperdendo. Sono tanti i rumeni che optano per la migrazione di ritorno. Un’ondata iniziata nel 2019 per diversi motivi, come spiega Luiza Diculescu, giornalista arrivata a Torino nel 2009 come corrispondente. «Tutto è iniziato con il Covid, ma molti rientrano perché intanto il Paese è cresciuto molto a livello economico, anche grazie agli imprenditori italiani che investono da noi. Una migrazione comunque marginale, Torino ormai fa parte della nostra casa».


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1 dicembre 2025 ( modifica il 1 dicembre 2025 | 07:02)