Luciano Spalletti con lui si è comportato da papà. E chi se lo scorda Teun Koopmeiners prima dell’arrivo di Lucio? Spento, fuori ruolo, apatico, senza spunti, senza gol, senza assist, senza lampi, senza nulla. Triste, sconsolato. O meglio: inconsolabile. Il problema non era capirlo, ma ascoltarlo. Perché pure Igor Tudor, in totale buona fede, ha fatto il diavolo a quattro pur di recuperarlo. Gli ha cercato nuovi ruoli, ha inizialmente creato una staffetta con Locatelli e ha fatto il possibile per togliergli le fragilità apparse a sorpresa con Thiago Motta, che più di tutti lo vedeva vicino alla porta. Gli hanno chiesto la luna e l’olandese ha perso completamente l’orientamento. Rompendo col passato all’Atalanta, quando a Bergamo sapeva affascinare, gasare e far esplodere le difese avversarie. Gasperini gli ha trovato un posto nel mondo, Spalletti gliene sta cercando un altro.
Di nuovo in mezzo al campo
Stasera può tornare in mezzo al campo, dopo sei partite disputate da braccetto sinistro. I compiti saranno chiari: guidare la regia. Avviare l’azione, prendersi la responsabilità del primo messaggio. Lucio in conferenza stampa ha descritto così il suo approccio con l’olandese: «Lo conosco molto bene, lo avevo seguito perché mi sarebbe piaciuto se avessi avuto un presidente che me lo avrebbe regalato. Secondo me lui conosce il calcio e sa un po’ stare da tutte le parti. Ma quello che diventa importante è tentare di vedere le cose o ascoltarle mettendosi nei panni di quelli con cui vai a parlare. È un buon punto di partenza. Se parli con lui, nonostante avendo fatto gol con l’Atalanta, preferisce cominciare l’azione e guardare la squadra di faccia».
Un altro giocatore
Dal dialogo, infatti, è nata la nuova vita di Koopmeiners. Non abbaglia, sì, ma è tutto un altro giocatore: solido, stabile, sicuro, a cui non è difficile affidare compiti spigolosi. Ha proprio un’altra cera. Gli serviva resettare, ripartire dalla semplicità, azzerare le conoscenze per tornare bambino, riscoprendo il gusto di stare in campo. Ma Spalletti intravede un altro futuro rispetto a quello difensivo: «Metterlo centrale difensivo era utile per andare ad acchiappare un po’ di qualità nella costruzione del gioco. Se faccio il primo passo bene corretto e allineato, il secondo viene altrettanto bene. Ha confermato di essere un buon difensore anche lasciato tutto campo uno contro uno, se l’è saputa cavare anche alla bandierina quando il quinto accorcia. È buono di testa, ha il lancio, può stare da tutte le parti perché ha personalità, piede fantastico e spessore internazionale. Lui tira non tanto per farlo, ma avendo un’idea di dove debba finire il pallone». Ora, dunque, è tempo del prossimo step: quello della consapevolezza. Spalletti gli ha dato le certezze per tornare a centrocampo. E non chiede a Teun il gol, non lo supplica di tornare ad essere quello di Bergamo. Deve mettere ordine, depurare ogni pallone e andare in verticale quando può. Ci proverà dall’Udinese. L’importante è non farlo agire spalle alla porta: non è proprio il suo, l’ansia tornerebbe ad essere la sua più spietata nemica.
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