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Papa Leone XIV al rientro da Turchia e Libano: «L’Italia può avere un ruolo per mediare la pace in Ucraina»
MMondo

Papa Leone XIV al rientro da Turchia e Libano: «L’Italia può avere un ruolo per mediare la pace in Ucraina»

  • 2 Dicembre 2025

di
Gian Guido Vecchi

Sul volo di ritorno il Pontefice auspica un dialogo fra cristiani e musulmani «in maniera che si aiutino e integrino a vicenda. Il Libano ne è l’esempio. «I miei contatti con Trump e Netanyahu per una pace sostenibile e duratura»

Inviato sul volo papale -Il volo AZ4000 è appena decollato da Beirut quando Leone XIV raggiunge i giornalisti in fondo all’aereo che lo riporta a Roma. Alterna inglese, italiano e spagnolo, secondo la lingua delle domande. Tra l’altro dice che la presenza dell’Europa è importante nelle trattative di pace sull’Ucraina e il «ruolo dell’Italia» in particolare «potrebbe essere molto importante», tanto che la Santa Sede lo sosterrebbe. Chiede a Hezbollah, di cui ha letto una lettera di lasciare le armi. Chiede dialogo anche per il Venezuela, anziché l’invasione minacciata da Trump. E sul Conclave racconta: «Ho fatto un sospiro profondo e ho pensato: Dio, sei tu che comandi».

Santità, sono ore di grande tensione tra Nato e Russia. Si parla di guerra ibrida, cyberattacchi. Lei vede il rischio di un’escalation, di un conflitto portato avanti con nuovo mezzi, come denunciati dai vertici Nato? E in questo clima ci può essere una trattativa per una pace giusta senza l’Europa, sistematicamente scavalcata in questi mesi dall’amministrazione Trump?
«Questo è un tema evidentemente importante per la pace nel mondo ma nel quale però la Santa Sede non ha una partecipazione diretta perché non siamo membri della Nato né eravamo presenti ai dialoghi che ci sono stati finora, anche se molte volte abbiamo chiesto un cessate il fuoco. La guerra ha tanti aspetti, l’aumento delle armi e tutta la produzione che c’è, le cyberarmi, l’energia, adesso arriva l’inverno…È evidente che da una parte il presidente degli Stati Uniti pensa di poter promuovere un piano di pace che almeno in un primo momento è stato senza l’Europa. Però la presenza dell’Europa è importante e quella prima proposta è stata modificata, anche per quello che l’Europa stava dicendo. Nello specifico, penso che il ruolo dell’Italia potrebbe essere molto importante, proprio per la capacità che ha l’Italia, culturalmente e storicamente, di essere intermediario in mezzo a un conflitto tra diverse parti, anche tra Russia e Ucraina. In questo senso io potrei suggerire che la Santa Sede possa anche incoraggiare questo tipo di mediazione e si cerchi, o cerchiamo insieme, una soluzione che potrebbe offrire una pace giusta».



















































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In Libano ha invocato il negoziato. Il Vaticano farà qualcosa di concreto in questo senso? Tra l’altro ha visto anche esponenti sciiti, ha ricevuto la lettera di Hezbollah? (il Papa annuisce ndr)
«Il viaggio è nato pensando a questioni ecumeniche, l’anniversario di Nicea e l’incontro con i patriarchi cattolici e ortodossi, cercando unità nella Chiesa. Ma durante questo viaggio ha avuto anche incontri personali con rappresentanti di diversi gruppi che rappresentano in realtà autorità politiche, persone e gruppi che hanno qualcosa a che vedere con i conflitti interni o anche internazionali. Il nostro lavoro principalmente non è una cosa pubblica, non lo dichiariamo per le strade, avviene dietro le quinte. È una cosa che già abbiamo fatto e continueremo a fare, cercare di convincere le parti a lasciare le armi, la violenza, e a dialogare insieme intorno a un tavolo cercando risposte, soluzioni».

Ha visto il messaggio di Hezbollah?
«Sì l’ho visto. Evidentemente c’è, da parte della Chiesa, la proposta che lascino le armi, che cerchiamo il dialogo. Però più di questo preferisco non commentare in questo contesto».

Userà i suoi contatti con Trump e Netanyahu per fare in modo che Israele risponda di ciò che fa? Pensa che una pace sostenibile è possibile nella regione?
«Sì, penso che si possa raggiungere una pace sostenibile. Ho già iniziato, in modo molto limitato, gli scambi con alcuni dei leader dei luoghi che lei menziona, e intendo continuare a farlo, personalmente o tramite la Santa Sede, perché abbiamo relazioni diplomatiche con la maggior parte dei Paesi della regione, e la nostra speranza sarebbe continuare a fare appello per la pace».

Di recente ha detto che sta imparando a fare il Papa, quando è arrivato ieri all’incontro con I giovani sembrava che dicesse “wow”! Cosa sta imparando? Qual è la cosa più difficile di essere Papa? E cosa ha provato durante il Conclave quando era chiaro che sarebbe stato eletto?
«Beh, direi che un paio di anni fa ho pensato che un giorno sarei andato in pensione. Quanto al Conclave, credo rigorosamente alla regola del segreto, anche se so che ci sono state interviste pubbliche che hanno rivelato qualcosa. Il giorno prima di essere eletto una giornalista mi ha chiesto: “Che cosa ne pensa, lei è diventato uno dei candidati’, e io ho semplicemente risposto: “È tutto nelle mani di Dio’, e lo penso davvero. Un giornalista tedesco l’altro giorno mi ha chiesto qual è un libro che spiega chi sono, ce ne sono diversi, ma uno è The Practice of the Presence of God, è un libro molto semplice scritto da qualcuno che non dice neanche il proprio cognome, fratel Lawrence, scritto tanti anni fa. Descrive un tipo di preghiera e spiritualità nella quale uno dà la sua vita al Signore e gli permette di guidare. Se volete sapere qualcosa su di me, è questa la mia spiritualità per tanti anni, nel mezzo di grandi sfide, quando vivevo in Perù negli anni del terrorismo, quando sono stato chiamato al servizio in luoghi che non avrei mai pensato di essere chiamato a servire, mi fido di Dio e questo messaggio è qualcosa che condivido con gli altri. Come è andata? Mi sono rassegnato quando ho visto che le cose andavano in modo che poteva essere una realtà, ho fatto un gran respiro e ho detto: “Dio, sei tu che hai la responsabilità e tu che comandi”. Non so di aver detto “wow”, l’altra notte, con la mia espressione…Sono spesso divertito da come i giornalisti interpretano la mia faccia. È interessante, a volte traggo grandi idee da voi perché pensate che potete leggere il mio pensiero o la mia faccia e non sempre indovinate. Per me è sempre meraviglioso vedere questi giovani, ascoltare il loro entusiasmo e la loro messaggio al messaggio a volte mi è di grande ispirazione».
 
Sta preparando viaggi in America Latina per il prossimo anno?
«Di sicuro non c’è niente, spero di realizzare un viaggio in Africa, sarebbe possibilmente il prossimo viaggio, è da confermare. Personalmente spero di andare in Algeria per visitare i luoghi della vita di sant’Agostino ma anche per continuare il dialogo e la costruzione di ponti fra il mondo cristiano e il mondo musulmano: la figura di Sant’Agostino aiuta molto come ponte perché in Algeria è molto rispettato come figlio della patria. All’ipotesi di viaggi in qualche altro Paese stiamo lavorando: evidentemente mi pacerebbe tanto visitare l’America latina, l’Argentina, l’Uruguay, che stanno aspettando la visita del Papa. In Perù penso che mi riceveranno, e se vado in Perù ci sono tanti Paesi vicini. Ma il progetto non è ancora definito. Nel 2026 o nel 2027».

’è molta tensione in Venezuela, c’è un ultimatum di Trump a Maduro perché si ritiri e una minaccia di operazione militare: cosa ne pensa?
«A livello di conferenza episcopale, con il nunzio, cerchiamo vie per calmare la situazione, guardando innanzitutto al bene della gente, perché spesso coloro che soffrono in questa situazione sono le persone normali, non le autorità. Le voci che arrivano dagli Stati Uniti cambiano a volte con una certa frequenza, bisogna vedere. Da una parte sembra che ci sia stata una telefonata tra I due presidenti, dall’altra parte sembra che ci sia la possibilità che ci siano attività, anche operazioni per invadere il territorio venezuelano. Non ne so di più. Penso davvero che sia meglio cercare strade per il dialogo, magari pressioni, comprese le pressioni economiche, ma cercare altri modi di cambiare, se è quello che gli Stati Uniti vogliono fare».
 
Alcuni cattolici in Europa pensano che l’islam sia una minaccia al cristianesimo in Occidente: secondo lei hanno ragione? Lei cosa direbbe loro?
«Tutti i colloqui che ho avuto nel tempo che ho trascorso in Turchia e Libano, compresi molti musulmani, è stato proprio concentrato sul tema della pace e del rispetto per le persone di altre religioni. So che di fatto non è sempre andata così. So che in Europa ci sono tante volte timori che sono però generati da gente che è contro l’immigrazione e prova a tenere fuori le persone di un altro Paese, un’altra religione. In questo senso vorrei dire che abbiamo tutti bisogno di lavorare insieme, uno dei valori di questo viaggio è stato appunto attirare l’attenzione del mondo sulla possibilità del dialogo e dell’amicizia tra cristiani e musulmani. Una delle grandi lezioni che il Libano può insegnare è mostrare al mondo un Paese nel quale islam e cristianesimo sono entrambi presenti e sono rispettati e c’è la possibilità di vivere insieme, essere amici. Negli ultimi giorni abbiamo sentito storie e testimonianze di persone che si aiutano a vicenda, cristiani e musulmani, entrambi avendo avuto ad esempio i loro villaggi distrutti, e dicono: possiamo stare insieme e lavorare insieme. Penso che queste siano lezioni che sarà importante che vengano ascoltate anche in Europa e in Nord America, e che dovremmo essere forse un po’ meno timorosi e cercare vie per promuovere il dialogo e il rispetto autentico».


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2 dicembre 2025 ( modifica il 2 dicembre 2025 | 18:41)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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