Leone XIV si racconta. E per la prima volta racconta anche il Conclave da cui è uscito Papa. Con una premessa. «Credo molto al segreto, anche se ci sono state interviste pubbliche che hanno svelato alcuni passaggi», spiega ai giornalisti sul volo papale che lo riportava a Roma dal Libano dove ha concluso il suo primo viaggio apostolico. Però spiega che cosa è successo nel suo cuore e nella sua mente mentre i voti per lui continuavano a crescere nella Cappella Sistina l’8 maggio. «Mi sono arreso quando ho visto come le cose si stavano mettendo e quando ho capito che tutto ciò poteva diventare realtà». Cioè essere Papa. «Allora ho fatto un profondo respiro e ho detto: “Eccomi, Signore. Tu guidi il mio cammino”». Perché, aggiunge, «credo profondamente che ogni cosa è nelle mani di Dio. Lo avevo anche sottolineato a una giornalista che il giorno prima di essere eletto mi aveva fermato per strada e mi aveva chiesto che cosa pensassi del fatto di essere fra i candidati favoriti».
Ed è un Leone XIV che, nella sua prima conferenza stampa, rivela di voler essere «ponte», del suo lavoro «dietro le quinte» per tessere reti di dialogo e di pace sullo scenario internazionale, dell’«entusiasmo» che gli ispirano i giovani, del desiderio di andare in Algeria nei luoghi di sant’Agostino e poi nel “suo” Sud America, della sua preoccupazione per la solitudine che le nuove tecnologie producono. Il tutto con un approccio chiaro ma attento ad evitare fratture; con un tocco d’ironia; e con una apertura di credito nei confronti delle autorità italiane per l’azione che possono svolgere nelle trattative fra Ucraina e Russia. «Il ruolo dell’Italia potrebbe essere molto importante perché culturalmente e storicamente il Paese ha la capacità di essere mediatrice in mezzo a un conflitto. E la Santa Sede può incoraggiare questa via in modo che si cerchi di arrivare insieme una soluzione in grado di portare a una giusta pace in Ucraina».
Nella conversazione con i giornalisti, rispondendo alle loro domande, Leone XIV confida che «un paio di anni fa pensavo a quando mi sarei ritirato». Ride il Papa. E aggiunge: «Ma alcuni devono continuare a lavorare». Lui come Pontefice. «Per capire chi è Prevost – fa sapere – c’è un libro che vorrei citare: è “La Pratica della presenza di Dio” di Fratello Lorenzo». L’autore è un monaco carmelitano del XVII secolo. E il sottotitolo recita: “La migliore regola della vita santa”. «È un libro molto semplice. Descrive un percorso di spiritualità e di preghiera che puoi compiere nella tua vita e che si basa su una regola minima: permettere al Signore di guidarti. Questa è la mia spiritualità. L’ho vissuta anche in mezzo a grandi difficoltà, quando ero in Perù, e ogni volta che sono stato chiamato a incarichi che mai avrei immaginato di affrontare».
Scherza il Papa quando parla delle espressioni del suo volto che fanno il giorno del mondo e che vengono commentate dalla stampa. «Ho una faccia espressiva. E mi diverte vedere come i giornalisti la interpretano. È interessante: qualche volta ci ho trovato buone idee, perché voi pensate di leggere la mia mente o il mio viso, ma non sempre siete nel giusto». Poi i giovani. Il Papa fa riferimento sia «al Giubileo dei giovani con più di un milione di ragazzi», sia all’incontro con i ragazzi libanesi, 15mila arrivati da tutto il Paese per abbracciarlo. «È meraviglioso. E a me stesso ripeto: sono tutti qui perché vogliono vedere il Papa, messaggero di pace. Soltanto recepire il loro entusiasmo mi è di grande aiuto. Non mi stancherò mai di apprezzare ciò che i giovani mostrano al mondo».
Leone XIV descrive anche il suo impegno e quello della Santa Sede negli scenari di guerra. Come il Medio Oriente. «Anche durante questo viaggio – spiega guardando alle tappe in Turchia e Libano – ho avuto incontri personali con esponenti che hanno ruoli politici o con persone e gruppi che hanno a che fare con situazioni di conflitto». Ma, tiene a precisare, «il nostro lavoro non è questione pubblica che sbandieriamo lungo le strade. Così abbiamo sempre fatto e così continueremo a fare per cercare di convincere le parti a fermare le ostilità o la violenza e a sedersi intorno al tavolo per trovare soluzioni adeguate». Del resto, precisa, «penso che la pace sia possibile». E, rispondendo a una domanda su Hezbollah, dichiara: «Come Chiesa chiediamo che rinunci alle armi e scommetta sul dialogo. Però preferisco non aggiungere altro…». Riservatezza. Ma anche risolutezza. Sulla guerra fra Ucraina e Russia il Papa ricorda che «tante volte abbiamo chiesto il cessate il fuoco e il dialogo. È un conflitto in cui si intersecano molti aspetti»: dall’«aumento della produzione delle armi» ai «cyberattacchi». E chiede che l’Europa abbia un suo posto nel negoziato. «Il presidente Usa aveva pensato a un piano di pace senza l’Europa. Ma il continente l’ha convinto a modificarlo». Nell’agenda papale anche le tensioni fra Venezuela e Stati Uniti con l’ipotesi di un intervento militare voluto da Trump. «Intendiamo contribuire a trovare una via d’uscita per il bene della popolazione. C’è stata, sì, una conversazione a telefono tra i due presidenti; però resta la possibile invasione via terra e via mare: non è la strada per cambiare ciò che gli Stati Uniti hanno in mente. Meglio il dialogo o le pressioni economiche».
Al Papa viene chiesto di commentare il fatto che in Occidente molti cristiani percepiscano i migranti, soprattutto musulmani, come una minaccia. «Ci sono paure che vengono alimentate anche da quanti sono contro l’immigrazione. Ecco perché, come testimonia il Libano, occorre mostrare al mondo che l’amicizia tra i musulmani e i cristiani è già realtà. Si tratta di una lezione che dovrebbe essere fatta propria sia in Europa sia in Nord America». Non spaventati e più promotori di dialogo, sintetizza il Pontefice.
È un Cammino sinodale complesso quello in Germania. Con aperture che rischiano di diventare fratture con Roma. Ne è consapevole Leone XIV. «La sinodalità può essere vissuta diversamente in vari luoghi ma non significa rottura», osserva durante il volo papale. Ma sul caso tedesco avverte: «So che molti cattolici della Germania credono che alcuni aspetti del percorso sinodale celebrato finora non rispecchino il loro modo di vivere la Chiesa. C’è bisogno di più dialogo e ascolto perché nessuna voce sia esclusa o silenziata da quanti ne hanno una più forte. Al tempo stesso i vescovi tedeschi hanno una interlocuzione costante con la Curia Romana. E sono sicuro che ci saranno aggiustamenti su entrambi i versanti, in modo che tutto funzioni positivamente».
Non c’è ancora niente di «sicuro» sui prossimi viaggi del Papa, dice lo stesso Leone XIV. «Spero di realizzare un viaggio in Africa e di andare in Algeria per visitare i luoghi della vita di sant’Agostino, ma anche per continuare il dialogo con il mondo musulmano». Guardando al vescovo di Ippona che «aiuta molto perché in Algeria è rispettato e considerato un figlio della patria». Poi l’altra confidenza. «Mi piacerebbe molto visitare l’America Latina: l’Argentina e l’Uruguay che stanno aspettando da tempo il Papa; e il Perù che penso mi riceverà…», sorride. Data ipotetica: «Fra il 2026 e il 2027».
Il Papa si dice preoccupato per una «società molto individualistica» in cui «crescono le persone» anche con poche relazioni personali, magari mediate «attraverso i cellulari o gli schermi dei computer». Il Pontefice chiede di curare «il cuore», di educare al «rispetto dell’altro», di promuovere «l’unità autentica» e «le relazioni di amicizia e di dialogo» che sono anche la risposta all’«animosità» che deturpa il vivere civile.