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È ricominciata Outpost, la newsletter scritta da Daniele Raineri quando è in viaggio per il Post, ogni volta da un posto diverso del mondo. Questa volta arriverà dall’Ucraina, dove Daniele è appena arrivato per raccontare a che punto è la guerra contro la Russia: di seguito potete leggere la prima puntata. Se vi piace e volete iscrivervi per ricevere quelle che arriveranno nei prossimi giorni, potete farlo qui.

Outpost non ha una cadenza fissa: arriva solo quando Daniele è in trasferta e si interrompe al suo ritorno in Italia. Non è detto che esca ogni giorno né che arrivi sempre alla stessa ora: se un giorno non ci sarà vorrà dire che Daniele si sta spostando, non ha una connessione internet o che per qualche ragione non è riuscito a inviarla. Outpost è gratuita, come tutti gli articoli pubblicati sul Post, ma esiste grazie al sostegno di chi si abbona, come tutto il lavoro che la rende possibile. Se vuoi, puoi fare la tua parte e abbonarti anche tu.

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Odessa, Ucraina – martedì 2 dicembre

Atterro a Chisinau, capitale della Moldavia, con un volo da Roma strapieno del mattino presto. La via moldava è un modo veloce per arrivare in Ucraina. Un tizio gentile che conosco da tempo mi ha trovato una macchina e un guidatore per raggiungere Odessa, la prima grande città ucraina oltre il confine. Ogni volta che lo chiamo mi trova un accompagnatore diverso.

Questa volta tocca a “Max”, che tiene una mazza di legno infilata nella tasca del sedile della Skoda, a portata della sua mano destra. È la risposta pratica a un’ansia elementare: Max vuole avere una potenza di fuoco superiore a un possibile nemico.

Lungo la strada il moldavo racconta di avere fatto il mercenario in Africa e America del Sud, dove guadagnava 12mila dollari al mese. Ma poi ha avuto un incidente in moto e ha dovuto mollare quel lavoro, dice. Adesso guadagna 900 euro al mese. Con discrezione, passo i polpastrelli sulla superficie di legno della mazza per sentire se ci sono intaccature e sapere se sia stata usata. Non è nuova, ma nemmeno presenta segni di traumi brutali.

(Daniele Raineri, il Post)

In quattro ore e dopo controlli ripetuti – agenti moldavi e ucraini ci aprono per tre volte i bagagli – siamo a Odessa. La connessione internet è penosa, perché nella parte di città dove sono è in corso un blackout elettrico programmato. Le centrali elettriche bombardate dai russi non riescono a rifornire tutti e così l’energia è razionata a turni. Saluto Max, che gira la macchina e va via.

Questa è la prima puntata di Outpost, la newsletter del Post che racconta le trasferte in aree di crisi. Nelle prossime puntate l’idea è di spostarsi verso l’est dell’Ucraina e di entrare nel Donbas, dove centinaia di migliaia di soldati russi e ucraini combattono e muoiono per il controllo di poche decine di chilometri quadrati di territorio.

Donbas con una sola s, al modo ucraino.

Io sono Daniele Raineri, un giornalista del Post (e questa volta con me non c’è il fotografo Micalizzi, che per un incastro di lavori è dall’altro lato, in Russia, e non può attraversare il fronte per passare da questa parte).

Le stagioni precedenti di Outpost sono state in Siria e in Cisgiordania e le trovate qui.

Sui muri di Odessa capita spesso di vedere i gatti disegnati dall’artista Ihor Matroskin. Questo, a tema patriottico, imbraccia un missile controcarro Javelin, che nel 2022 era l’arma simbolo degli aiuti americani all’Ucraina. Sembra passato un secolo. La scritta dice “Mykolaiv scudo di Odessa”, perché a quel tempo i soldati russi tentavano di arrivare in città passando appunto per Mykolaiv. Furono respinti. (Daniele Raineri, il Post)

Faccio trasferte in Ucraina da quando è cominciata l’invasione su larga scala della Russia, e sul Post potete vedere gli articoli scritti in precedenza come questo e questo e questo. Sento dire parecchie cose a proposito dell’invasione e alcune vale la pena conoscerle. Non è detto che siano per forza tutte cose vere, anzi alcune sono proprio in contraddizione tra loro. Oggi ho scelto queste tre.

Numero uno. La linea di difesa Emmenthal
A causa della scarsità di soldati e della lunghezza del confine con la Russia, l’esercito ucraino nell’est non si difende dietro a un’unica linea fortificata che in teoria dovrebbe coprire migliaia di chilometri e dovrebbe bloccare l’avanzata dei russi. Al suo posto ci sono tante piccole postazioni vicine ma separate tra loro. Gli ucraini tentano di uccidere (con i droni, soprattutto) tutti i soldati russi che provano a passare in mezzo a queste posizioni.

È una linea di difesa con i buchi, come il formaggio svizzero. Richiede la presenza di meno soldati rispetto a una linea continua, ma quando le condizioni sono giuste – c’è nebbia per esempio – i russi riescono a passare.

Numero due. La teoria del picco di produzione russa
La teoria del picco dice che l’apparato industriale bellico della Russia nel 2026 non riuscirà a sfornare abbastanza armamenti per sostenere il livello altissimo di perdite in Ucraina. Ogni giorno i soldati ucraini distruggono carri armati, blindati, elicotteri e altri mezzi russi. Prima o poi la Russia finirà i carri armati a disposizione – e stesso discorso per il resto del materiale da guerra.

Una cosa simile, secondo la teoria, vale anche per i soldati russi. Prima o poi l’arruolamento non riuscirà più a tenere il passo con le enormi perdite subite dall’esercito della Russia al fronte. Se gli ucraini riusciranno a resistere, i russi prima o poi dovranno cessare di attaccare. Corollario della teoria: le sanzioni dure della comunità internazionale avvicinano la crisi russa. Il problema è che nessuno è riuscito a provare questa teoria e quindi non possiamo trattarla come una cosa reale.

Un murale che chiede la liberazione dei prigionieri del gruppo di estrema destra Azov, catturati nel 2022 a Mariupol, durante la distruzione della città da parte dei russi. Il gruppo Azov non esiste più, i suoi uomini fanno parte di unità regolari dell’esercito. (Daniele Raineri, il Post)

Numero tre. La teoria del grande crac
Questa è un pochino più sofisticata, seguitemi. Una cosa che avrete sentito molte volte è che i russi, per quanto si sforzino, hanno conquistato pochissimo terreno in quasi quattro anni di invasione. Da venti mesi non riescono a conquistare del tutto Chasiv Yar, che è una città da quindicimila abitanti, e avanzano di pochi chilometri l’anno in un paese che è vastissimo. La teoria del grande crac dice: attenzione, è vero che il fronte si muove poco, ma i combattimenti sono violentissimi e ogni giorno le perdite sono immani per entrambi i lati. Quello che non vediamo è che ucraini e russi stanno bruciando, in pochi chilometri quadrati di territorio, risorse enormi. Il fronte non si sposta, ma divora eserciti interi.

Alla fine potrebbe succedere che gli ucraini, che di risorse ne hanno meno, cedano di colpo e i russi avanzino di decine di chilometri. Sarebbe il grande crac. Non sarebbe una sconfitta definitiva sul piano militare, ma dal punto di vista politico la pressione internazionale per spingere alla resa l’Ucraina diverrebbe ancora più forte.

Ciao, alla prossima
Daniele