di
Salvatore Mannino
I bambini hanno 9 e 4 anni: dopo ripetute sollecitazioni da parte del Tribunale dei minori, il 16 ottobre sono stati portati in una struttura protetta con un blitz dei carabinieri. I genitori: «Qui non è Italia, non potete entrare, noi siamo protetti da Russia e Bielorussia»
Il bimbo più grande, 9 anni, non era mai stato iscritto ad un esame che, come previsto dalla legge, verificasse l’istruzione parentale impartitagli, a loro dire, dai genitori. Lui e il fratellino di 4 non avevano un pediatra che ne controllasse le condizioni di salute e non c’era neppure un medico di famiglia e non avevano mai fatto un vaccino.
In più i ragazzini, che pure vivevano in una bella casa, munita di tutti i comfort ma isolata in un lembo sperduto del comune di Caprese Michelangelo, in provincia di Arezzo, avevano poca e nulla possibilità di socializzare con coetanei ed adulti estranei al nucleo familiare e alla setta di cui i genitori fanno parte.
Sono queste, riassunte in breve, le motivazioni che hanno indotto il tribunale dei minori di Firenze, secondo autorevoli fonti investigative e giudiziarie, a disporre l’allontanamento dei due piccoli dalla famiglia e il loro ricovero in una comunità protetta, nella quale tuttavia la madre può sempre vederli.
Una scelta estrema quella di papà Harald, originario della provincia di Bolzano, e di mamma Nadia, bielorussa, una scelta che li aveva portati ad aderire alla setta «Noi è, io sono», nota anche come «Uomo vivo donna viva» e poi ad allontanarsi un paio di anni fa da Brunico, dove vivevano, per il timore, sempre secondo ambienti investigativi, che venisse preso già allora il provvedimento giudiziario che è stato poi adottato dai giudici minorili fiorentini.
Si erano rintanati in località La Creta, poco distante dal torrente Singerna, comune appunto di Caprese, noto per aver dato i natali, secondo la tradizione, a Michelangelo Buonarroti: un casale ristrutturato secondo criteri di benessere: cancello di legno, recinto esterno, un impianto di videosorveglianza che ha ripreso, come poi vedremo, la lunga scena in cui i carabinieri hanno notificato il decreto di allontanamento senza che i genitori ne accettassero i termini, portando poi via i bambini quando si è temuto che la situazione potesse degenerare ai danni dei minori.
Una vicenda, insomma, che potrebbe sembrare avere alcuni punti di contatto con la «famiglia nel bosco» di Palmoli, in Abruzzo, ma ne è molto differente.
Ma per capire meglio bisogna tornare indietro alla mattina del 16 ottobre, quella del blitz dei carabinieri della compagnia di Sansepolcro, quando il caso Palmoli non era ancora all’orizzonte. Chi c’era, militari e assistenti sociali, racconta una sequenza assai diversa da quella che Harald e Nadia hanno fornito al programma Tv “Fuori dal coro” e al quotidiano “La Verità” che hanno sollevato il caso, presentandolo come quello della “seconda famiglia nel bosco”.
I carabinieri, spiegano i testimoni, erano effettivamente con la mimetica della tenuta antisommossa, ma solo perché erano passati pochi giorni dal blitz nella casa fatta esplodere dai fratelli veronesi che avevano provocato la morte di tre militari a Castell’Azzano. Il timore era quella di una reazione violenta dinanzi al provvedimento di allontanamento dei figli.
Il primo atto della mattinata, sempre secondo i testimoni, è il tentativo di notificare la misura. I genitori si rifiutano di firmare e persino di farsela leggere dagli uomini dell’Arma. Papà Harald, anzi, avverte il figlio più grande con il walkie talkie: «Preparati a reagire». Ai militari viene opposto che quella del casale è «zona extraterritoriale, qui non è Italia, non potete entrare, noi siamo protetti da Russia e Bielorussia».
I minuti passano e cresce il timore, a giudizio di chi c’era, che la scena possa degenerare con rischi per i minori. I carabinieri (una decina), insieme ai agli assistenti sociali dell’Unione dei Comuni della Valtiberina, di cui fa parte Caprese, si avvicinano, in parte dal cancello e in parte dal bosco, e fanno irruzione in casa, con le telecamere di videosorveglianza che riprendono il video poi mostrato da “Fuori dal coro”.
Nel filmato si sentono urla provenire da dentro e poi un bambino trascinato via per la vita. Fonti investigative, tuttavia, precisano l’accaduto: il più grande ha seguito i carabinieri senza fare troppe storie, mentre effettivamente il più piccolo si è disperato, con le grida registrate dall’audio delle telecamere.
Ancora secondo le stesse fonti, il provvedimento contempla la possibilità che la mamma possa seguire i figli, come nel caso di Palmoli. I genitori, si dice, sanno dove quale è la struttura protetta in cui sono stati sistemati i bambini. Ci sarebbe anche un ricorso contro il provvedimento, firmato col sangue, come è nelle abitudini della setta.
Un modo di firmare che rientra nel modo di agire degli adepti a «Noi è, io sono», filiazione italiana del gruppo americano «One People»: anche in altri casi, ad esempio nel Bresciano, i ricorsi contro atti pubblici sono stati siglati con un’impronta digitale insanguinata.
Tipico di una setta che rifiuta radicalmente ogni autorità dello stato: in alcuni casi gli adepti non hanno pagato per principio le bollette e persino i pedaggi autostradali. In altri hanno autoprodotto i documenti d’identità, i cosiddetti “Universal pass”.
Ovviamente la setta si è subito mobilitata in favore di Harald e Nadia. Online si possono trovare i video delle chat con le quali si consultano sul modo migliore per aiutare loro a riunirsi ai figli.
La sindaca di Caprese Marilda Brogialdi, che è anche presidente dell’Unione dei Comuni, con sede a Sansepolcro, conferma di essere a conoscenza sia della situazione della famiglia che del blitz dei carabinieri con gli assistenti sociali: «Ma io non ho avuto alcuna parte nella vicenda, il padre l’ho visto solo una volta, era un tipo particolare».
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3 dicembre 2025 ( modifica il 3 dicembre 2025 | 12:28)
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