di
Francesco Battistini

La first lady ucraina, a Parigi da Macron con il marito, parla a Libération: «Non posso rimanere indifferente ai bambini, e non solo perché sono madre. Uno degli obiettivi è il sostegno alle famiglie che crescono gli orfani»

KIEV – L’alba di qualche giorno fa, mentre tutti dormivano, un palazzo di Ternopil è stato completamente sbriciolato da un missile ipersonico russo. Trentasei morti, 120 feriti. Noi in Europa non ci facciamo quasi più caso, ma Olena Zelenska c’era: «Purtroppo, vediamo che da voi la gente si sta stancando, è stufa di sentire notizie dall’Ucraina: “Quanto manca ancora?”, chiedono. Ma noi non abbiamo scelta, mi spiace: o moriamo tutti, o continueremo a mandare notizie…». Da quand’è la moglie del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Olena ha passato più tempo in guerra che in pace. 

Quarantasette anni, due figli, architetta in aspettativa, non sa più quante lacrime abbia versato. Però a Ternopil è stata un’altra cosa, dice in un’intervista al quotidiano francese Libération: sotto il palazzo, si sono polverizzati anche sette bambini ed è stato, quello, «uno dei momenti che mi ha segnato più in profondità, per il resto della mia vita». Una scena tremenda. «Un papà al cimitero, che cullava la bara bianca del figlio. È stato insopportabile. Orribile. Lo ricorderò per il resto della mia vita».



















































I bambini, il suo incubo. Gli ucraini e l’Onu dicono che gl’invasori ne hanno deportati in Russia oltre ventimila. E meno di duemila sono tornati indietro, scampati alla russificazione forzata in qualche sperduto villaggio siberiano. Nei 28 punti del famoso piano Trump-Putin per la pace, la questione bambini è liquidata in un sottotitolo, neanche si trattasse d’una leggenda metropolitana e non d’un crimine di guerra. 

Quali che siano le cifre, è Olena Zelenska a occuparsene: «Bring Kids Back», restituite i bimbi, è il suo programma per identificare e rimpatriare tutti i piccoli rapiti. Lo porta in giro per il mondo e martedì era a Parigi, mentre Zelensky all’Eliseo incontrava per la decima volta Emmanuel Macron. «Non posso rimanere indifferente ai bambini – dice la first lady -, e non solo perché sono madre. Uno degli obiettivi è il sostegno alle famiglie che crescono i bambini rimasti orfani. Stiamo anche ristrutturando i rifugi antiaerei nelle scuole, le mense e le cucine, per garantire il diritto allo studio».

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Ospedali dedicati, centri di salute mentale per gli adolescenti («molti soffrono di grave depressione e il numero di suicidi è in aumento»), spazi giovanili. E la restituzione di luoghi del martirio, come Bucha e Borodyanka: «È straordinario vedere come si stiano ricostruendo e diventando più belle, come la vita stia tornando, come la comunità prosperi. Le persone hanno bisogno d’energia per vivere, per gioire. E la ricostruzione esterna ci aiuta a ricostruire dall’interno. Abbiamo un detto: restaura l’uomo e tutto sarà restaurato». Non è facile, sotto le bombe: «Se pensi solo alle bombe, la vita si ferma. Ma nessuno in Ucraina, tra chi è rimasto, può pensare solo al pericolo. Ogni mattina, dopo i bombardamenti notturni, ci alziamo e andiamo al lavoro».

Olena è stata al Quai d’Orsay, a raccontare quel che fa l’Ucraina per rimettersi in piedi. «Sì – ammette -, è un momento difficile, pesante. I negoziati sono molto intensi. Tutto sta cambiando molto rapidamente, ma questo dà anche speranza. Stiamo lavorando duramente e aspettiamo i risultati. La cosa peggiore è la stagnazione, quando non succede nulla e tutti restano ad aspettare. Questa turbolenza, queste prove sono un passo necessario». 

Ci sono first lady che nelle visite di Stato se ne vanno per boutique e ristoranti. Non quella ucraina: «Spesso mi chiedono: come stai? E ogni volta mi dico che ci penserò più tardi, perché in realtà non ci pensiamo davvero. Mi sembra che il ruolo di una first lady in tempo di guerra sia lo stesso di un’insegnante: continuiamo a fare il nostro lavoro, ma con sfide più grandi. Dobbiamo essere più flessibili con i nostri orari, cambiare le cose rapidamente, riorganizzare i nostri piani con urgenza, essere più attive… C’è questo costante senso di urgenza». E intorno, quest’angosciante sensazione d’indifferenza: «Non vorrei che l’Europa diventasse insensibile», dice ai giornalisti, mentre con due dita si rigira nervosa l’anello. «Per favore, non dimenticateci».

3 dicembre 2025 ( modifica il 3 dicembre 2025 | 12:37)