«Gli occhi sono i miei, naturali, non ho alcun merito, al trucco mettevano solo un po’ di matita scura. Però, Can Yaman è un attore molto bravo e molto bello. A me resta l’orgoglio di essere stato il primo: tanti ragazzini conoscono la canzone, si vede che l’hanno cercata sul web». Così Kabir Bedi in un’intervista a Repubblica ricorda la sua esperienza sul set di Sandokan, la serie tv diretta da Sergio Sollima, trasmessa su Rai1 nel 1976. 





La tigre

«Arrivai a Roma a mie spese, era inverno e non portai neanche il cappotto, un freddo cane! Mi fecero nuotare, cavalcare e correre, oltre che fissare intensamente la macchina da presa: in una settimana, la parte fu mia» dice l’attore con orgoglio, ricordando anche le scene più pericolose, come quando si trovò davanti ad una tigre vera, senza protezioni. «Gli operatori e il regista stavano dietro una grata, io invece davanti al felino. Mi dicevano “stai tranquillo”, io rispondevo “volete venire voi”? Quando rivedo la scena, mi dico che venne proprio bene».



La leggenda

Il cast era eccezionale. Insieme a lui, recitavano Philippe Leroy e Adolfo Celi, con cui Kabir Bedi è rimasto amico per anni. C’era anche Carole André, la leggendaria Perla di Labuan, che aveva appena perso il padre e viveva un momento molto doloroso.

Ma perché Sandokan è entrato nel mito?  

«È un eroe della libertà e della giustizia: quanto bisogno ne abbiamo ancora oggi, in questo mondo che sembra impazzito» spiega l’attore, che si sente affine al personaggio perché come lui odia l’ingiustizia e vorrebbe aiutare tutti. Però, aggiunge con un velo di tristezza: «Ho fallito, non sono riuscito a evitare il suicidio di mio figlio Siddharth: aveva appena venticinque anni. Non può esistere dolore più grande».



Ricordi del set

Anche oggi che è impegnato a girare un nuovo film tra Londra e Mumbai, Kabir Bedi ripensa con piacere all’esperienza su quel set. Racconta di non aver usato quasi mai controfigure, e una volta ha persino rischiato di affogare. Diventò Cavaliere della Repubblica perché riuscì a portare svago nelle case degli spettatori in un momento molto delicato per l’Italia, attraversata dal terrorismo. Era molto amato dai bambini e dalle donne, ovviamente, ma ci tiene a sottolineare: «Quelli che ricordo con maggiore affetto sono gli operai della Fiat Mirafiori, a Torino: quando andai a incontrarli in fabbrica, in tanti avevano in mano un libro di Salgari». E poi, la soddisfazione più bella: «La gente mi chiama ancora Sandokan».




Ultimo aggiornamento: mercoledì 3 dicembre 2025, 13:06





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