di
Luigi Ferrarella
La multinazionale aveva subìto un sequestro per frode fiscale tra il 2017 e il 2022: ora la Procura ha ritirato la richiesta di misura interdittiva. In un altro filone anche FedEx cede revocata la richiesta di interdizione dopo aver assunto 2.100 lavoratori e versato allo Stato 82 milioni
Alla fine dei conti, versare all’Agenzia delle Entrate e all’Inps 187 milioni di euro di imposte e contributi è persino il meno, tra i risultati odierni dell’indagine della Procura di Milano sulla frode fiscale 2017-2022 contestata nel luglio 2024 ad Amazon Italia Transport srl nella eterodirezione digitale dei lavoratori incaricati da Amazon delle consegne dell’«ultimo miglio», quelle cioè dal magazzino alla destinazione scelta dal cliente acquirente del prodotto online. Perché la vera novità – materializzatasi oggi dall’udienza davanti al giudice delle indagini preliminari Luca Milani, al termine del percorso guidato dai difensori Luca Luparia, Andrea Rossetti e Martina Cagossi – è che Amazon, per neutralizzare il rischio di misura interdittiva per l’ipotesi di frode fiscale, dopo un lungo confronto con i pm Valentina Mondovì e Paolo Storari e i loro consulenti, ha accettato di modificare sensibilmente entro la primavera 2026 il proprio modello e in particolare la gestione algoritmica della catena lavorativa dell’«ultimo miglio». E oggi la Procura, ritenendo quindi cessate le esigenze cautelari, ha revocato la richiesta, avanzata l’anno scorso al gip, della misura interdittiva del divieto ad Amazon di fare pubblicità. Stessa dinamica (ma in un differente filone) anche per FedEx Express Italy srl, che, anche qui in un percorso guidato dall’avvocato Pasquale Annichiarico per rafforzare i propri controlli interni per il futuro, per un verso ha versato allo Stato 82 milioni di tasse e contributi, e per un altro verso ha soprattutto internalizzato 2.100 tra facchini e autisti prima dispersi in cooperative fuori regola.
La contestazione iniziale di frode fiscale
L’inchiesta ruotava attorno al «DSP Program» di Amazon, che incentiva a diventare appunto DSP e cioè aspiranti imprenditori che investendo da 10mila a 25mila euro creino una società a responsabilità limitata con la quale avviare la consegna dei pacchi di Amazon supervisionando una squadra di autisti nell’«ultimo miglio» («Diventa artefice del tuo successo – diceva la pubblicità -: se hai sempre voluto creare e dirigere un team, avvia la tua attività come fornitore di servizi di consegna Amazon, per aiutarci a consegnare sorrisi ai clienti di tutta Italia»). In realtà l’inchiesta – emersa un anno e mezzo fa con il sequestro di 120 milioni per frode fiscale – aveva mostrato che chi per Amazon faceva la consegna dell’ultimo miglio (cioè porta il prodotto, acquistato dal consumatore sul sito online Amazon, da uno dei centri di distribuzione della società sino alla destinazione finale indicata dal cliente) nemmeno dirigeva se stesso, visto che al contrario era eterodiretto dal suo «caporale» digitale: il software gestionale di AIT-Amazon Transport srl. Algoritmo che organizzava il lavoro dei singoli corrieri e i fattori produttivi dei fornitori, «operando su ciascun dipendente un controllo diretto in ordine alla corretta esecuzione delle direttive veicolate dallo strumento informatico, con esercizio diretto da parte di Amazon di poteri di datore di lavoro anche nei confronti di addetti che formalmente non sarebbero stati alle proprie dipendenze», ma alle dipendenze di cooperative serbatoi di manodopera che (fornitori di secondo livello) fatturavano a consorzi-filtro che (fornitori di primo livello) fatturavano ad Amazon. E siccome le coop di secondo livello nuotavano in un gorgo di irregolarità fiscali e contributive messe a premio da quelle di primo livello, «del conseguente fraudolento risparmio in termini di carico fiscale e contributivo si avvantaggiava – secondo i pm – chi stava al vertice della struttura piramidale», cioè Amazon Italia Transport srl, che così poteva «agire nel mercato con prezzi competitivi» in forza di un meccanismo determinato appunto da quella eterodirezione digitale di autisti «suoi» senza che fossero formalmente assunti o ingaggiati.
Le modifiche offerte ora dalla società
Dal 31 gennaio 2026 «il personale di Amazon non visualizzerà più la mappa che indica in tempo reale la posizione dei driver», e «non riceverà più notifiche in merito alle pause e alle fermate improvvise dei driver». Sull’utilizzo da parte dei DSP dei dati forniti da Amazon per valutare le performance dei drivers, Amazon si impegna a «rimuovere la visualizzazione del tracciato della geolocalizzazione del driver dall’interfaccia DSP e a rendere visibile esclusivamente i checkpoint di consegna in tempo reale: il sistema continuerà a mostrare ai DSP la posizione del driver in tempo reale (o l’ultima posizione nota) solo qualora i driver siano inattivi» (cioè non si muovano e non consegnino) «per un tempo maggiore a 15 minuti, per garantire che le esigenze di sicurezza siano soddisfatte», mentre «una volta che il driver tornerà attivo, e sarà risolta la situazione di emergenza potenziale, la visualizzazione della geolocalizzazione verrà nuovamente rimossa». E la conservazione dei dati dei driver? Diventerà (entro il 31 maggio 2026) solo per 3 mesi, e solo per rispondere a richieste di autorità giudiziarie e di polizia, per gestire incidenti stradali, e per ottimizzare la definizione delle rotte ma con pseudonimizzazione.
Circa la definizione di «rotta» assegnata ai singoli drivers da Amazon – la quale coincide con il quantitativo di pacchi affidati al singolo corriere nell’ambito della singola giornata di lavoro, e si distingue dal «percorso», che coincide con il giro che in concreto, il driver svolge per consegnare i pacchi assegnatigli –, Amazon difende la propria tesi per la quale «i percorsi proposti e i suggerimenti di consegna sono una pratica molto diffusa nel settore delle consegne e sono concepiti per ottimizzare l’esperienza del cliente. Amazon possiede le informazioni relative ai clienti, che sono necessarie ai DSP per eseguire la consegna (indirizzo, preferenze di consegna, tempistiche previste), e le inserisce in una proposta di sequenza che i DSP e i driver possono riorganizzare come ritengono più appropriato». Tuttavia ora Amazon si rende comunque disponibile a «implementare entro metà maggio 2026, all’interno del tool, un nuovo flusso di lavoro che consenta ai DSP di modificare la sequenza proposta da Amazon direttamente nel sistema informativo a disposizione dei DSP».
Sull’odierna individuazione del driver al quale assegnare la rotta da parte di Amazon sulla base del criterio della cosiddetta «affinity», Amazon accetta di «creare una nuova interfaccia di pianificazione, che consenta ai DSP di poter scegliere tra assegnare manualmente i driver a ciascuna rotta oppure utilizzare una funzionalità che permetta loro di accoppiare i driver in blocco con ciascuna rotta e apportare le modifiche desiderate. Se il DSP non intraprende alcuna azione sulla programmazione, riceve un promemoria; se non intraprende alcuna azione entro la mattina in cui è prevista la rotta, il sistema assegnerà automaticamente i driver».
Soldi a Fisco e Inps, e più controlli
Amazon inoltre oltre ad aderire al versamento di 179 milioni di euro all’Agenzia delle Entrate tra imposte, sanzioni e interessi, e di 8,3 milioni all’Inps per i debiti contributivi in solido, annuncia rafforzamenti dei controlli interni e delle procedure di gestione dei rischi, l’illustrazione di un approfondito audit entro il 28 febbraio 2026, la nomina di un collegio sindacale, avvicendamenti nell’organismo di vigilanza, e apposite sessioni di formazione per il personale.
lferrarella@corriere.it
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4 dicembre 2025
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