di Renato Franco
Il paleontologo e conduttore torna con un libro sulla straordinaria vita del generale romano che divenne il primo dittatore “democratico”: «Combatteva sempre in prima fila mentre l’imperatore francese aspettava l’esito della battaglia in tenda. Non c’è mai stato un condottiero come lui, era “condannato” a vincere»
Il suo verbo preferito?
«Scoprire».
Alberto Angela ha fatto della curiosità il suo codice di interpretazione del mondo, incarna l’idea di divulgazione come ponte tra saperi e persone, per lui ogni dettaglio diventa racconto, ogni reperto un frammento di vita da restituire al presente.
La sua sliding door?
«Il rapimento in Niger (nel 2002 ndr) è stato il bivio della mia vita. In una notte ho tirato il bilancio della mia esistenza, ho pensato che sarei morto in quella pietraia — sembrava di stare su Marte — e che non avrei mai visto i miei figli da adulti».
Come ne è uscito?
«Da una parte c’era il buio, l’idea della sofferenza di essere ucciso nel mezzo del deserto; dall’altra la luce, la lucidità di tirar fuori le migliori capacità diplomatiche. Avevamo di fronte un gruppo di uomini, in realtà tre “scorpioni bipedi”, era una partita a scacchi nella quale non puoi vincere ma non devi assolutamente perdere. La via d’uscita è stata non dare loro un appiglio perché premessero il grilletto: devi farti vedere sicuro, deciso, devi essere un antagonista valido, paradossalmente devi far emergere in loro la stima nei tuoi confronti».
Dopo tre anni ha scritto un nuovo libro Cesare. La conquista dell’eternità (Mondadori). Cesare è uno dei personaggi più conosciuti e trattati: non è un rischio?
«In realtà è un libro sul De Bello Gallico e nessuno aveva mai scritto prima d’ora un libro sul De Bello Gallico. Quando l’ho scoperto la mia prima riflessione è stata: o è una buona notizia oppure è una pessima notizia».
Perché era una buona notizia?
«Perché è un testo che abbiamo sempre vissuto come una fonte di versioni al liceo, ma di cui non sappiamo niente. È come ridurre Guerra e Pace a due soli paragrafi».
È la sintesi di Woody Allen: «Ho fatto un corso di lettura veloce. Ho letto Guerra e Pace, parla della Russia». In effetti è riduttivo.
«E va aggiunta un’altra grossa differenza: Guerra e Pace è un romanzo, mentre il De Bello Gallico è basato su un contesto storico vero, assomiglia ai diari di un odierno corrispondente dai teatri di guerra, un corrispondente che in questo caso si chiama Cesare, a capo di una spedizione che è durata nove anni».
È anche un testo molto cinematografico.
«Quando Cesare racconta le battaglie ti ritrovi di colpo in una sceneggiatura del Gladiatore, quando parla degli intrighi di Roma assomiglia al Trono di spade, in altri momenti sembra di stare in un film di Indiana Jones, come quando entra in un santuario dei Galli dedicato alla guerra: ci sono gli scheletri dei soldati nemici messi in piedi, come trofei senza testa perché i Galli le teste le inchiodavano all’entrata dei villaggi, delle case, delle fattorie».
In estrema sintesi come lo riassumerebbe?
«È un grande racconto d’avventura, un viaggio che regala scoperte di archeologia e antropologia, curiosità geografiche e riflessioni sul mondo romano».
L’impresa che l’ha colpita?
«Cesare è stato il primo romano ad andare al di là del Reno costruendo un ponte lungo mezzo chilometro con il fiume in piena. In soli dieci giorni. Non si capisce esattamente come ci sia riuscito, ma ci dà la prova di quanto fosse moderna l’ingegneria del mondo romano».
Perché Cesare è stato unico?
«Un generale come lui non c’è mai stato. Era condannato alla vittoria, non poteva perdere. Alla prima sconfitta l’avrebbero fatto fuori: i Galli, i Germani e i Britanni l’avrebbero spazzato via, soprattutto la stessa Roma l’avrebbe spazzato via. Ha subito anche dei rovesci, ma non ha mai perso in modo plateale. Non ha mai avuto una Waterloo».
Cesare ha avuto una vita pubblica di successo e una privata molto movimentata.
«È stato un grande amatore, un tombeur de femmes, la lista non finisce più: ha avuto quattro mogli, molte amanti, tra cui anche le mogli dei triumviri, le donne dell’élite romana. E poi le regine, come Cleopatra e la regina della Mauritania, con la compiacenza del marito che chiudeva un occhio perché Cesare gli faceva arrivare parecchi soldi».
Era bisessuale?
«Sì, gli sono stati attribuiti molti amori anche maschili, all’epoca era la norma, non faceva scandalo, purché tu avessi una parte attiva, non solo passiva».
Era anche spietato.
«A lui vengono ascritti massacri gratuiti. A un certo punto due popolazioni germaniche rientrano in Gallia, inseguite da altri germani e chiedono protezione, vogliono diventare suoi alleati. Ma Cesare entra in un accampamento e uccide tutti: uomini, donne e bambini. In un’altra occasione, dopo aver vinto la rivolta di una cittadina, ha tagliato le mani destre a tutta la popolazione per evitare che si ribellasse ancora: immaginate la montagna di duemila mani messe una sopra l’altra. Ma nelle logiche del tempo era una cosa normale».
Era vanesio.
«Amava vestirsi bene, trendy diremmo oggi. Andava in battaglia con i calzari rossi per essere riconoscibile. Ma va anche ricordato che combatteva in prima linea, non era come Napoleone che aspettava in tenda».
Il libro è dedicato ai suoi figli, «Riccardo, Edoardo e Alessandro, e alle grandi avventure che li aspettano nella vita».
«Trovo molto bello l’insegnamento di Cesare. Molti ragazzi hanno paura del futuro, si sentono inadeguati perché viviamo in un mondo che non aiuta i giovani: Cesare ti fa capire che bisogna credere in sé stessi, che non bisogna abbattersi di fronte alle intemperie e alle difficoltà, anche se non arriva subito un buon risultato».
Lei che papà è stato? Esigente o accomodante?
«Ai ragazzi, ai figli, non bisogna mai dire quello che devono fare. È sbagliatissimo. Fin da quando sono bambini bisogna anche spiegare i no perché il no secco crea un muro. Come dicono gli inglesi: presence, not presents, presenza, non regali».
Oggi i suoi figli sono grandi.
«Ora che sono decollati verso la loro vita, in casa è rimasto molto silenzio. Solo quando se ne vanno ti accorgi del momento incredibile che hai vissuto eppure non sapevi di viverlo. I figli sono questo: un momento di quotidianità irripetibile, ma scopri che è irripetibile quando non ci sono più. Consiglio a tutti di assaporare anche i litigi, anche i momenti meno semplici».
Cosa gli ha insegnato?
«Io gli ho dato le cartine di interpretazione stellare, poi sta a loro andare ai confini dell’universo e fare le loro conquiste, le loro esplorazioni, le loro scoperte».
Lei per loro è un modello ingombrante, così come anche suo padre Piero lo è stato per lei?
«Certamente la mia situazione non era facile, però io a un certo punto mi sono detto: faccio le cose come voglio farle io, come piacciono a me, poi mi giudicherete per quello. Bien faire et laisser dire, fare bene e lasciare che la gente parli, come dicono i francesi. Certo il mio cognome ha sempre creato più attenzione, più aspettativa. La soluzione è non farsi turbare da situazioni esterne alle proprie capacità».
E il suo di papà che insegnamento le ha lasciato?
«Quello di fare le cose in silenzio e con altissima qualità: essere disciplinati, lavorare tanto, umilmente, sempre con la testa bassa».
La popolarità è un peso?
«Adoro quello che faccio, ma la visibilità è un aspetto che mi mette molto in imbarazzo, è un effetto collaterale non previsto: non è per la notorietà che ho fatto questo mestiere, non era per essere riconosciuto, è perché mi piaceva tanto».
Il 25 dicembre torna su Rai1 con Stanotte a Torino.
«Torino è stata capitale d’Italia, è stata uno dei poli industriali più importanti, è una città con una vocazione mitteleuropea. Oggi ha smesso di guardare al suo passato e guarda al futuro. E credo che sia un insegnamento per tutti noi, anche per i nostri ragazzi».
Nella sua carriera televisiva c’è un’occasione persa, un errore che si rimprovera?
«No. La cosa buffa è che ho sempre puntato la prua verso un orizzonte che mi incuriosiva e ho avuto la fortuna di avere vicino collaboratori capaci, un team di persone che funzionano, che ha fatto scommesse difficili e ottenuto grandi risultati».
La sua meraviglia personale?
«Io vivo in continua scoperta. Il mio leitmotiv è sempre andare oltre l’orizzonte e vedere cosa c’è dietro il crinale, oltre le montagne. Tutti i temi che tratto, siano libri o puntate televisive, sono orientati alla scoperta. Che non è mai fine a se stessa, ma va condivisa, come il pane. Ulisse – Il piacere della scoperta non è mai stato un titolo casuale».
È cinico o sentimentale?
«Sentimentale. Non riesco proprio a essere cinico. Sono uno di quei calciatori che se fa un’entrata dura non se ne va fischiettando. Torno indietro, chiedo scusa e abbraccio l’avversario».
I social hanno cambiato il suo modo di fare televisione?
«I social sono uno strumento in più. Non devono cambiare il tuo modo di pensare, di agire, di fare. Però vanno trasformati in alleati. Naturalmente sono anche un’arma a doppio taglio, le fake news spesso partono da lì».
Qualche tempo fa il suo Noos era stato spostato di fronte allo strapotere nazionalpopolare di Temptation Island. Ma lei ne ha mai visto una puntata?
«No, non è il mio genere».
Un divulgatore come lei potrebbe essere «ucciso» dal sapere del web e dell’intelligenza artificiale?
«Il web permette all’uomo di avere a disposizione una cultura, una fonte d’informazione su qualunque argomento come nessuno ha mai avuto prima in milioni di anni di evoluzione umana. Internet è fonte di risposte, dritte e informazioni. Ma è così che lo stiamo usando?».
Se non avesse fatto il divulgatore?
«Sarei da qualche parte in Africa a fare scavi sotto il sole, quella è ancora la mia passione. Mi ritengo un ricercatore prestato momentaneamente alla divulgazione».
A oggi il più lungo dei «momentaneamente».
CHI E’
La vita
Nato a Parigi nel 1962, è figlio del divulgatore scientifico Piero Angela (1928-2022) e di sua moglie Margherita Pastore (1934). Sin da bambino ha accompagnato il padre nei suoi viaggi, ha vissuto in Belgio e si è diplomato alla scuola francese di Roma. Poi si è iscritto a Scienze Naturali alla Sapienza di Roma e laureato con 110 e lode. Ha tre figli.
La carriera
Per oltre 10 anni si è occupato di scavi e ricerca sul campo partecipando a spedizioni internazionali, alla ricerca dei resti fossili di antenati dell’uomo, nell’allora Zaire (odierna Repubblica Democratica del Congo), a Ishango, nel 1983 e nel 1984; in Tanzania (Olduvai e Laetoli) nel 1986, 1987 e 1988; nel Sultanato dell’Oman nel 1989, in Etiopia (valle dell’Awash) e in Mongolia nel deserto del Gobi. La sua carriera televisiva è cominciata nel 1990 nella Tv svizzera italiana. Tra i suoi programmi più importanti Passaggio a Nord Ovest e Ulisse – Il piacere della scoperta.
5 dicembre 2025
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