La prima personale bresciana dell’artista cubano Abel Herrero, «In the mirror», trasforma le Sale Neoclassiche del Mo.Ca, Centro per le nuove culture, in luogo di incontro tra umano e non umano, in cui ogni senso partecipa al dialogo tra l’artista, l’animale e lo spettatore, anche l’olfatto. Pochi giorni ancora per visitarla, fino all’8 dicembre. Curata da Ilaria Bignotti e Camilla Remondina, la mostra costruisce un dialogo serrato tra pittura, spazio e percezione.

La mostra

Un percorso essenziale, privo di ridondanze, che lascia emergere tutta la forza silenziosa della ricerca di Herrero e affida allo sguardo – umano e animale – il compito di sostenere il confronto. L’allestimento minimale è costituito da grandi tele che occupano lo spazio con una presenza monumentale e mostrano esclusivamente volti di primati: scimmie diverse, potentemente presenti. I loro sguardi, dalla profonda dolcezza malinconica, disinnescano ogni retorica dell’alterità e trasformano il ritratto in uno strumento di confronto diretto, chiamando in causa lo spettatore, le sue responsabilità, i suoi preconcetti. Qui l’animale è più che un simbolo: è uno specchio, una superficie su cui si riflettono paure, contraddizioni, desiderio di controllo.

A questa dinamica contribuisce il gioco degli specchi che attraversa le sale. Camminando nello spazio ci si vede riflessi, ma nei ritagli e nelle fenditure dei grandi specchi compaiono gli occhi delle scimmie, che ci intercettano all’improvviso. Ne nasce un suggestivo inseguirsi di sguardi – nostri e loro – che accentua la dimensione teatrale dell’allestimento: lo spettatore è come immerso in una pièce in cui ogni ipocrisia viene lentamente svelata e smontata. Il ritratto dopotutto, in tutta la ricerca di Herrero, è un genere politico, in questa occasione dichiaratamente antropologico.

Un'opera di Herrero - © www.giornaledibrescia.it

Un’opera di Herrero – © www.giornaledibrescia.it

All’interno di questa scena sospesa compaiono i «Vasi comunicanti», due sculture in marmo che custodiscono una «materia odorosa» ideata dal bresciano Antonio Gardoni, naso di Bogue Profumo. I vasi, che Herrero ha già utilizzato in altre occasioni, diventano qui veri dispositivi di trasmissione sensoriale. Quello di Gardoni è un accordo dichiaratamente animalico: cuoio, note sporche, vibrazioni corporee che amplificano il carattere istintivo delle opere. Non si tratta di un dettaglio accessorio, ma di un ulteriore livello di lettura: il profumo costringe lo spettatore a fare esperienza fisica di quella stessa «animalità» che i dipinti mettono in scena. Fin dall’ingresso viene segnalato che l’odore può risultare disturbante, fino a provocare fastidio o nausea: una scelta consapevole, che rifiuta ogni addomesticamento e lascia che anche il disagio diventi parte del dispositivo critico della mostra.