di
Matteo Sorio
Il libro dell’ex presidente della società fallita nel 2022: «Gli alti dirigenti del pallone? Faccio prima a dire chi non mi ha voltato le spalle… Gli altri, hanno dato una mano a tenerci sott’acqua»
Il suo vecchio Chievo? «Era facile da fare fuori perché faceva calcio per il calcio, non c’erano altri interessi dietro, né politici né economici». Gli alti dirigenti del pallone, dal presidente Figc Gabriele Gravina al patron della Lazio e oggi senatore Claudio Lotito? «Faccio prima a dire chi non mi ha voltato le spalle… gli altri, hanno dato una mano a tenerci sott’acqua». Il Verona? «Mai voluto soppiantare l’Hellas nel tifo della città, ma il vecchio acquisto all’asta del centro sportivo Bottagisio, nostro luogo simbolo, non è stato all’altezza della loro storia». E infine, il nuovo Chievo rilanciato in serie D dal suo ex capitano Sergio Pellissier: «Non lo considero il Chievo, il marchio in sé non basta, ma è giusto che vadano avanti». Sala gremita alla Feltrinelli di Verona, venerdì, per Luca Campedelli, 57 anni, patron del Chievo dal 1992 al 2022. Trent’anni che contengono l’ascesa in A, cioè l’impresa scritta con il direttore sportivo dei miracoli, Giovanni Sartori, il cui addio avrebbe poi segnato l’inizio della fine, e la scomparsa dal calcio causa debiti tributari, antipasto del fallimento.
«Per il Chievo ho pensato anche al suicidio»
«Per il Chievo ho pensato anche al suicidio», così Campedelli nel libro presentato il 5 dicembre, «Chievo – Un delitto perfetto», dove lo stesso Campedelli racconta «la sua verità» ai giornalisti Raffaele Tomelleri e Fabiana Della Valle.
Oggi che il club è di nuovo nel calcio, in D, con Pellissier patron onorario e una proprietà da poco subentrata, gli imprenditori dell’edilizia Pietro Laterza e Luigi Tavernise, la storia del Chievo di Campedelli rimane una ferita per una fetta di tifosi e per i protagonisti di quegli anni, alcuni presenti in Feltrinelli, come l’ex giocatore e allenatore Rolando Maran e l’ex team manager Marco Pacione. «Il Chievo non è stato fatto fuori dai poteri forti, è che al centro c’era solo il calcio, nessun secondo fine», la versione di Campedelli. Quel Campedelli per cui tutto è iniziato a cambiare con l’uscita nel 2014 dell’insostituibile Sartori («Uno tra i top 5 in Europa, siamo riusciti a integrarci fin quasi all’ultimo momento in maniera quasi perfetta»), passando per il caso-plusvalenze con il Cesena per arrivare alla negata iscrizione alla B nell’estate 2021 per i 17,8 milioni di debiti tributari.
Il fallimento
La difesa, ai tempi, verteva sulla convinzione che «se la società avesse avuto accesso al piano di rateizzazione del debito tributario non ci sarebbero stati problemi ma i decreti governativi dall’8 marzo 2020 al 31 agosto 2021 hanno bloccato l’emissione delle cartelle esattoriali». Dal canto loro Tar e Consiglio di Stato avrebbero seguito la linea di Figc e Coni, definendo la posizione del Chievo «non fiscalmente regolare» per «intervenuta decadenza dalla rateizzazione pregressa di un debito esistente» e «assenza di un nuovo atto di rateizzazione formalmente perfezionato».
A fine giugno 2022 la dichiarazione di fallimento del club da parte del tribunale di Verona, con un debito stimato in 30 milioni, calcolo salito in un paio d’anni a «oltre 80 milioni» per i curatori fallimentari Luca Toninelli e Renzo Panozzo. Il tutto con la crisi parallela dell’azienda dolciaria di famiglia, la Paluani, in passato proprietaria all’82% di quel Chievo e oggi ripartita da una nuova pagina sotto l’egida del brand Sperlari. «Ma non è vero – le parole di Campedelli – che il pallone si è mangiato il pandoro». Cosa c’è nel presente, allora, tre anni dopo? «Riesco a guardare solo il calcio dei dilettanti. Quello è un mondo ancora puro. Anche perché non c’è il Var, cui sono sempre stato contrario e che nella stagione della retrocessione in B, 2018/19, fu per noi devastante».
«Pellissier? Non chiudo mai le porte»
Dice, Campedelli, che la distanza con Pellissier potrebbe non essere per sempre: «Siamo due caratteri tosti ma non chiudo mai le porte». Un rimpianto, un errore? «Ho preso in mano il Chievo da mio padre, alla sua scomparsa, e non sono riuscito a proteggerlo. Lo sbaglio è non aver immaginato le cose che altri avrebbero potuto pensare per far male a questo club. Ma se domani mi dicessero che c’è il Chievo e serve un magazziniere io andrei anche a piedi».
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6 dicembre 2025
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