di
Pierluigi Panza

Il 7 dicembre il debutto, già incassi record dell’opera russa Pochi politici, atteso Giuli. Liliana Segre nel Palco Reale

MILANO L’opera russa che inaugura oggi la stagione della Scala deve aver seminato un po’ di paura preventiva, vuoi perché è russa, vuoi per titolo e compositore («Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk» di Dmitrij Šostakovic)o per le annunciate scene di stupro, sesso e violenza. Il teatro segnala sul display un «warning» estremamente politically-correct prima dell’inizio e molti sono i politici assenti, forse temendo di finire tre ore e mezza in un gulag (non credo che si eseguirà l’Inno nazionale). Nel palco Reale, per il terzo anno consecutivo, al posto che spetta ai presidenti (Mattarella sarà alla Scala due volte in primavera), siederà la senatrice a vita Liliana Segre (Mario Monti, però, senatore a vita ed ex presidente del Consiglio è in sala): alla sua destra il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso e alla sua sinistra il sindaco Giuseppe Sala. Dietro, la sottosegretaria di Stato Usa, Sara Rogers, il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, i vicepresidenti di Senato e Camera Gian Marco Centinaio e Anna Ascani. In teatro i sottosegretari Gianmarco Mazzi, Lucia Albano e Federico Freni, quest’ultimo autentico melomane. Comunque, con due milioni 800 mila euro si sono già incassati duecentomila euro più dello scorso anno. In realtà, l’operona diretta da Riccardo Chailly (su Raiuno dalle 17.45), al suo ultimo 7 dicembre come direttore musicale, è godibile non solo per la musica, ma anche per il libretto (da un romanzo rapido e violento di Leskov) e per una messa in scena che rende molto comprensibile quanto sta accadendo, con violenze contenute e solo la parte finale a sorpresa e discutibile.

Il regista, Vasily Barkhatov, ha ambientato il realismo della Russia anni Trenta dell’opera – che costò al compositore la censura della «Pravda» – negli anni Cinquanta. Il podere degli Izmailov (corrispettivo russo della «roba» dei Malavoglia) è un freddo ristorante dove il patriarcato regna sovrano sino alla ribellione dell’annoiata Katerina, una strepitosa Sara Jakubiak. «Io seguo solo Šostakovic – racconta Barkhatov – non c’è bisogno di altro. Si passa dall’ironico, al goffo al grottesco sino alla caduta nel dramma profondo, alla risalita e, di nuovo, alla caduta. Quella di Katerina è la storia di una donna che aspira a libertà e felicità anche se lo fa in maniera violenta. Cerchiamo di evitare i cliché e concentrarci sulla psicologia».



















































Se si considera che la penultima opera messa in scena era sulla poetessa Anna Achmatova, la «prima» dello scorso anno, «La Forze del destino», è un’opera scritta per San Pietroburgo e quella di tre anni fa il «Boris Godunov» per alcuni la Scala è stata colpita da russofilia. Nostalgie comuniste? «Non scherziamo – risponde il sovrintendente Fortunato Ortombina -: sono protagonisti perseguitati da Stalin! Semmai emerge il sempre vivo rapporto tra Milano e la cultura russa». In particolare negli anni Cinquanta del Novecento quando il direttore artistico della Scala, Francesco Siciliani, cercò di far qui la prima mondiale della nuova versione (non quella di questa sera) della «Lady Machbeth» e quando l’editore Feltrinelli pubblicò la prima mondiale del «Dottor Zivago» del perseguitato Pasternak. Ieri mattina sono stati venduti i posti di loggione (cento alle sette erano già esauriti) ma, a dire il vero, ieri pomeriggio c’erano ancora due posti in sala al costo di 1950 euro. Sala dove non mancheranno personalità dello spettacolo e dell’arte come Mahmood, Achille Lauro, Pierfrancesco Favino, l’artista Francesco Vezzoli e rappresentati del mondo editoriale (Massimo Bray, Elisabetta Sgarbi, Piero Maranghi…). Al completo il nuovo CdA: Giovanni Bazoli, Barbara Berlusconi, Diana Bracco, Giacomo Campora, Claudio Descalzi, Marcello Foa e Melania Rizzoli. Presenti gli ex sovrintendenti Carlo Fontana, Alexander Pereira e Dominique Meyer (che ha scelto questo spettacolo).

6 dicembre 2025