Sofia Assante ci racconta la lezione di suo padre, un inno alla vita e all’amore
Sarò franca. Ho scritto questo romanzo per due motivi. Il primo: avevo voglia di mettere nero su bianco un sacco di parolacce. Il secondo: perché mio padre, a diciott’anni, mi disse che ce l’avrei fatta. E mio padre non si sbagliava mai.Di cosa parla La mia ultima storia per te? Non ve lo racconto, vi tedierebbe. Farò di meglio, vi dirò qual è il senso – quello che si dovrebbe cogliere solo alla fine, dopo estenuanti sessioni di lettura, nelle ultime pagine; quello che dovrebbe essere sotteso, nascosto tra le pieghe dei personaggi.
Il senso del libro è questo: non conosciamo gli altri, non potremmo conoscerli neanche se volessimo, a malapena conosciamo noi stessi. E che possiamo fare, dunque? Amarli. Perdonarli. Il che, a pensarci bene, è identico. I protagonisti del romanzo, Andrea ed Elettra, diventeranno adulti quando impareranno questa lezione. Più nello specifico: quando capiranno come guardare con misericordia i loro genitori. Il che non è facile, ma è necessario. Altrimenti la vita s’inceppa.
Naturalmente nel libro ci sono anche altre cose. Un amore mancato. Una grande amicizia, di quelle particolarissime che si vengono a creare tra i dodici e i tredici anni, piccoli miracoli di simbiosi – avete presente? C.S. Lewis, parlando della moglie, scrisse che se pure non si fossero innamorati, sarebbero comunque rimasti insieme per sempre; ecco, quel tipo di amicizia. Ci sono anche la mia passione per la musica e per la letteratura americana. Una zia tabagista che si taglia le unghie dei piedi con i denti. Una trattoria nel centro storico di Roma e una famiglia di aristocratici piena di vasi attici, porcellane e tappeti orientali. C’è persino una morte misteriosa. Ma il succo finale rimane: non capirai mai tua madre, o tua sorella, né tanto meno quell’omuncolo accanto al quale ti svegli ogni mattina e che chiami marito. Rassegnati. Amali. Vai avanti. Mio padre lo diceva sempre.
Spero di aver scritto questo libro al meglio delle mie capacità. E’ il massimo che posso dire. E spero che ci sia qualcuno, tra di voi, che avrà voglia di abitare in questo universo di carta insieme a me, almeno per un po’. Forse è questo il vero motivo per cui l’ho scritto: arredare una stanza dove rifugiarmi ogni volta che ne ho bisogno. E in cui, mi auguro, vorrete rifugiarvi anche voi.
Sofia Assante