di
Alessandro Bocci
L’Inter manda un chiaro messaggio alla concorrenza e si gode, stasera il crocevia Napoli-Juve, con Spalletti che torna da ex al Maradona. Ma il sabato lo segna la Fiorentina: ultima, senza anima, pare ormai arresa alla B
Lautaro spedisce il Como all’angolo, Thuram lo stende nel momento migliore della squadra di Fabregas. L’attacco è il manifesto delle ambizioni dell’Inter, una squadra piena di talento che sta allargando i confini della rosa: Luis Henrique, sino adesso oggetto misterioso, risponde presente con l’assist dell’1-0 e guadagna la fiducia di San Siro. La smorfia felice di Chivu dopo il 4-0 contro una squadra che di gol non ne aveva mai subito più di uno, ha il dolce sapore della vendetta: con una partita di sostanza dà scacco matto a Fabregas e scaccia i rimpianti di chi avrebbe voluto lo spagnolo sulla panchina nerazzurra.
L’Inter c’è. Compatta, solida, energica. Stavolta anche feroce. Pronta per il Liverpool, martedì in Champions, ma anche per lo scudetto. Il primo posto per una notte è un traguardo effimero, ma anche un messaggio alla concorrenza, dal Milan sino alla Roma, senza dimenticare il Napoli, atteso dalla sfida con la Juventus, che è un miscuglio atroce di sentimenti e di urgenze. Conte guida gli azzurri ma è juventino dentro, Spalletti ha tatuato sul braccio lo scudetto partenopeo, il primo vinto dopo Maradona.
Il Napoli, reinventandosi, ha ritrovato energia ed equilibrio con tre vittorie di fila, compresa la Champions e la quarta è arrivata ai rigori in Coppa Italia contro il Cagliari. Anche la Juve ha vinto le ultime tre e va a caccia di conferme e dello slancio per decollare. Sarà dura per Spalletti tenere a freno le emozioni nel suo vecchio stadio, ma dovrà farlo perché l’appuntamento di stasera, lo ha confermato lui stesso, dirà molto sul futuro bianconero, quasi un dentro o fuori nella rincorsa per la vetta. È la partita del cuore e quella dei grandi assenti: la Juve è senza Vlahovic e lo sarà per tanto tempo, il Napoli senza centrocampo.
Ma il primo sabato di dicembre ce lo ricorderemo per la sconfitta, l’ottava su 14 partite, della Fiorentina. Una squadra che sognava la rincorsa Champions e adesso è ultima in classifica senza vittorie, senza gioco, senza anima, abbandonata dalle sue stelle anche in casa del Sassuolo: De Gea ha colpe evidenti sui primi due gol, Kean è sempre in fuorigioco, Gudmundsson non si accende mai. Doveva essere il giorno della svolta dopo il patto del megafono, sancito tra Dzeko e i tifosi a Bergamo, è sembrato quello della resa. Un solo tiro in porta: il rigore dell’illusione. Uno spettacolo mortificante. Nessuna reazione, solo una disarmante fragilità. Una squadra che non è una squadra. E una società che, senza il presidente Commisso bloccato a New York dalla malattia, non sa più come intervenire. Il cambio di allenatore non è servito. Vanoli sta facendo peggio di Pioli. Continuando così la B diventerà presto una certezza. Nell’anno del centenario.
7 dicembre 2025 ( modifica il 7 dicembre 2025 | 07:17)
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