di
Massimiliano Jattoni Dall’Asén

L’Opa da 108 miliardi sfida l’intesa con la celebre piattaforma (già frenata dai dubbi antitrust di Trump). Per gli azionisti della Warner Bros si apre ora una scelta tra liquidità immediata e mega-fusione tech

Sembrava una partita destinata a chiudersi nei salotti riservati di Los Gatos, con Netflix che si avviava a incorporare una delle icone più longeve della storia americana dell’intrattenimento. E invece, quando il copione sembrava già scritto, Paramount Skydance ha deciso di riscrivere la scena madre: un’offerta in contanti da 30 dollari per azione per l’intera Warner Bros. Discovery. Questa volta, il colpo di scena finale potrebbe valere più di 100 miliardi. Una mossa che rimette al centro la domanda più semplice — e più feroce — dei mercati: quanto vale davvero Warner? 

L’Opa Paramount, come confermato dalle note ufficiali e rilanciato da testate internazionali come Ap News, porta sul piatto circa 18 miliardi di dollari cash in più (per un totale di 108 considerando anche l’assunzione del debito) rispetto alla proposta di Netflix. In un contesto in cui lo streaming globale è entrato nella sua fase più competitiva e meno espansiva, il contante è diventato la vera lingua franca degli investitori. E Paramount lo sa: offrire una soluzione immediatamente liquida significa neutralizzare uno dei punti più sensibili dell’offerta Netflix, fondata su un mix fra contanti e azioni la cui volatilità non è sfuggita agli analisti.



















































La strategia di Warner

La scelta di Warner di trattare in esclusiva con Netflix aveva un senso strategico: unire la piattaforma numero uno al mondo con uno dei marchi cinematografici più potenti avrebbe creato un colosso capace di deterritorializzare Hollywood, comprimere i costi e dettare i tempi di tutta la catena del valore. Ma negli ultimi giorni è comparso un nuovo, ingombrante protagonista: il presidente Donald Trump, che ha evocato «potenziali problemi antitrust» legati alla fusione. Un’uscita rara e sorprendente, notata dal Washington Post, che ha immediatamente affondato le aspettative di chi considerava l’accordo già ben avviato. Le probabilità di chiusura entro il 2026, sugli indicatori predittivi come Polymarket, sono crollate dal 60% al 23% nel giro di ventiquattr’ore.

La mossa di Paramount: più tradizionale e strutturata

È in questo vuoto — tra un accordo congelato dal vento politico e un settore finanziariamente esausto — che Paramount ha infilato il suo rilancio. Business Insider sottolinea come l’operazione guidata da David Ellison poggi su finanziamenti già strutturati con banche di primo livello e su un’impostazione più tradizionale, meno esposta al rischio regolatorio di un’operazione che, invece, porterebbe Netflix a concentrare una quota senza precedenti del mercato dei contenuti premium. L’argomento è semplice ma efficace: unire due studi storici è meno minaccioso, agli occhi dell’americana Federal Trade Commission, che fondere una piattaforma tecnologica globale con una delle più grandi librerie cinematografiche del pianeta.

Il nodo economico

Il punto, però, non è solo regolatorio. È economico. Warner Bros. Discovery porta con sé un debito che sfiora livelli difficili da sostenere in un mercato in cui la crescita dell’advertising lineare rallenta e lo streaming non garantisce più margini facili. Per gli azionisti di Wdb, l’Opa Paramount rappresenta una scelta tra due futuri: da un lato un matrimonio con Netflix che punta a creare un player «totale», costruito sull’integrazione verticale di dati, abbonamenti e library; dall’altro un consolidamento più classico, fatto di studi, produzioni e distribuzione, ma con una valorizzazione immediata del capitale.

Secondo Investing.com, parte del malumore che ha accompagnato la prima fase della trattativa nasce proprio dal sospetto che il processo di vendita avesse finito per favorire la soluzione Netflix come esito quasi naturale, lasciando meno spazio alla considerazione puramente economica. L’ingresso di Paramount costringe ora il board a rimettere mano ai conti e agli scenari, e soprattutto a non dare per scontata la preferenza degli azionisti, che potrebbero trovare nel cash un argomento più convincente della promessa di una mega–piattaforma integrata.

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8 dicembre 2025