Recensione di
Paola Casella

lunedì 8 dicembre 2025

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Brunello Cucinelli viene da una famiglia povera, ma non gli è mai mancato niente in termini di affetto, calore e rispetto. Dall’infanzia in un casale umbro insieme a 13 famigliari, all’adolescenza a Ferro di Cavallo, in provincia di Perugia, al trasferimento a Solomeo al seguito della fidanzata (poi moglie) Federica, il suo percorso è un’allegra scorribanda verso quella vocazione per la maglieria di qualità e l’alta moda che nascerà dopo il 25 anni e lo accompagnerà fino al presente. Ad animare l’imprenditore è una filosofia di vita appresa dai genitori, ovvero quella di comportarsi da persona perbene: con amici e parenti, con dipendenti e collaboratori, con i clienti e la sua comunità territoriale, con i partner aziendali e gli investitori cui sconsiglia di acquistare le sue azioni se non condividono la sua visione aziendale. Ed è questo il segreto del suo successo, tanto umano quanto professionale.


Cucinelli è il protagonista assoluto di Brunello – Il visionario garbato, il documentario che Giuseppe Tornatore ha girato su richiesta dello stilista che ne è produttore insieme a Masifilm; ed è un protagonista carismatico e accentratore che si racconta con il piglio del cantastorie, e la cui vicenda sembra una favola moderna.

Tornatore dà molto spazio alla formazione di Cucinelli, ricreando scene della sua infanzia e giovinezza nelle quali l’imprenditore oggi settantenne si inserisce fisicamente per rivisitare il suo passato. La linea rossa che attraversa il documentario è una immaginaria partita a carte, di quelle in cui Brunello è sempre stato maestro per la sua capacità non solo di prevedere la mossa successiva dei giocatori, ma l’intero schema della partita. E ogni decisione presa, di quelle che gli altri hanno immancabilmente descritto come folli (“per il mondo è difficile non dare del matto a un visionario”) salvo poi ricredersi di fronte i suoi successi, è sottolineata dal suono secco e imperioso di una carta da gioco schiaffata sul piano del tavolo.

Di Cucinelli emerge (quasi?) tutto: l’idealismo e la sfrontatezza, l’intelligenza e il senso dell’umorismo, un certo narcisismo e una grande generosità, un piglio autorevole ma non necessariamente autoritario, l’afflato spirituale e l’indole avventurosa, la capacità di seduzione e la determinazione. Intorno alle scene ricostruite ci sono le testimonianze di chi conosce bene Brunello, dalla moglie ai parenti agli amici d’infanzia, ma anche di personaggi celebri come Oprah Winfrey, Mario Draghi o Gianluca Vacchi. L’unico attore noto è Saul Nanni che interpreta Cucinelli giovane uomo: tutti gli altri sono volti nuovi che compongono un mosaico di figure attorno a Brunello. Il raffronto cinematografico immediato è con Baaria dello stesso Tornatore, dove si raccontava, come in Brunello Il visionario garbato, una comunità di individui ognuno con la sua caratterizzazione e il suo scopo narrativo.

Brunello – Il visionario garbato è smaccatamente agiografico, ma si mantiene al di qua dello stucchevole grazie all’umorismo gentile che colora ogni scena, e alla commozione che suscitano gli ideali di un imprenditore convinto che “capitalismo umanista” e “profitto morale” non siano ossimori. Cucinelli e Tornatore ci catapultano in un mondo in cui la gente presta soldi sulla fiducia e si emettono cambiali, le persone oneste si riconoscono dalla voce e la lealtà è un valore inviolabile. Cucinelli si dichiara convinto che la dignità dele persone sia essenziale e tiene regolari assemblee con i suoi dipendenti in spazi di lavoro ariosi e regolati da orari vivibili – anche se a parlare nelle assemblee è solo lui, e i suoi dipendenti a volte appaiono nel documentario un po’ intimiditi dalla sua presenza.

Uno degli aspetti più interessanti della narrazione è il ripetersi del concetto di silenzio, da quel “lusso silenzioso” che caratterizza le collezioni Cucinelli alla quiete di cui Brunello si circonda quando deve prendere decisioni difficili o ristabilire il suo rapporto di “armonia col creato”: per questo il commento musicale di Nicola Piovani, fortemente ispirato a Morricone, appare troppo onnipresente e didascalico.

Un altro tema ricorrente è quello dell’umiliazione, subìta dal padre di Brunello durante il lavoro da operaio ma anche dallo stesso Brunello, nella scuola di paese in cui il suo dialetto e la sua provenienza campagnola sono motivo di scherno. La sua rivalsa è gentile e inarrestabile, fa leva su principi etici e filosofici, su intuizioni preveggenti (la tenuta del mercato del lusso, la sostenibilità nelle aziende) e investimenti sul futuro (la reazione alla pandemia): tutti “rischi calcolati”, come nel gioco delle carte, con l’intento di “coniugare profitto e qualità della vita”, e di “abbellire l’umanità”. Brunello rilancia di continuo come un pokerista (anche se i suoi giochi sono briscola e scopa, in omaggio alle radici contadine), e cita l’imperatore Adriano quando si “sente responsabile della bellezza del mondo”, e diventa costruttore di sogni ragionati, insieme homo faber e homo sapiens.
Non possiamo sapere quanto di ciò che Cucinelli racconta attraverso la cinematografia di Tornatore sia attendibile (benché i risultati della sua filosofia di vita e lavoro appaiano evidenti) perché viene raccontato basandosi sulla sua voce e quella dei suoi ammiratori, ma Brunello – Il visionario garbato è aspirazionale e fonte di ispirazione in questo periodo ingeneroso e individualista, dove i concetti di comunità, di dignità dei lavoratori e di lealtà verso il prossimo sembrano… fuori moda.

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