Scrivere un elenco dei giochi più brutti del 2025 significa soprattutto sporcare le mani: scavare sotto la superficie patinata del marketing, mettere in fila le contraddizioni dell’industria, e raccontare perché certi giochi usciti quest’anno hanno tradito promesse, attese o semplicemente sé stessi.
E allora eccola, la lista dei titoli più deludenti dell’anno. Non necessariamente i peggiori in assoluto, ma quelli che, per un motivo o per l’altro, hanno lasciato l’amaro in bocca.
Una selezione amara, certo, ma inevitabile, soprattutto in un’epoca in cui il videogioco vive in un eterno paradosso: mentre il medio e l’indie brillano come non mai, i colossi inciampano proprio dove avrebbero dovuto eccellere.
Vampire: The Masquerade – Bloodlines 2
Entriamo subito nel terreno più scivoloso: quello dei sequel attesi per anni. Bloodlines 2 è il simbolo dei progetti tormentati, dei passaggi di studio, delle idee che cambiano identità più volte nel corso dello sviluppo. E purtroppo tutto questo si vede in ogni centimetro quadrato del gioco.
La trasformazione in action game tradisce completamente la natura del capitolo originale, profondamente RPG. Le scelte contano poco, le missioni secondarie sono quasi assenti, la storia scorre dritta come un fiume in piena, senza la deviazione, la libertà, la sfumatura. Il problema non è solo che non è un buon seguito: è che insiste ancora su quel “Bloodlines 2” nel titolo, mentre rappresenta tutt’altro.
FBC: Firebreak
Con FBC: Firebreak ci si aspettava un nuovo tassello dell’universo condiviso di Remedy, quella rete di storie che, dagli autori di Control e Alan Wake, sembrava pronta ad allargarsi in modo naturale. Invece, il gioco non aggiunge davvero nulla di sostanziale alla lore, e questo già basterebbe per far storcere più di un naso. L’immaginario rimane sullo sfondo, distante, quasi timoroso di esporsi.
Ma il vero nodo è che Firebreak parte male e continua peggio: un lancio ruvido, aggiornamenti troppo timidi, un gameplay che non ingrana. Le armi non danno soddisfazione, gli scontri risultano mollicci, il loop ludico si ripete come un mantra che non trova mai un crescendo. Certo, Remedy promette un maxi-update, ma è il classico cerotto su una ferita che si poteva evitare con più coraggio, e più tempo.
Lost Soul Aside
Un progetto che sembrava uscito da un sogno a occhi aperti: trailer scintillanti, un’estetica da blockbuster, un combat system che ricordava vagamente il dinamismo di Final Fantasy XVI. Peccato che la realtà, come spesso accade, sia stata più scomoda del previsto.
La narrativa è un’altalena che non sale mai davvero, appesantita da dialoghi poco ispirati e da una messa in scena che non riesce a sostenere l’ambizione del progetto. Il combattimento, per quanto spettacolare, finisce per ripetersi e non evolve abbastanza da giustificare una campagna lunga. E poi c’è l’inganno delle aspettative: il marketing lo presentava come un action RPG complesso; è invece un action piuttosto lineare. Una discrepanza che ha lasciato molti (troppi) con la sensazione di essere stati portati fuori strada.
MindsEye
Qui si passa direttamente alla cronaca di un disastro annunciato. MindsEye è stato pubblicizzato come una sorta di ponte d’attesa verso il prossimo GTA, un sandbox moderno con auto, libertà, caos digitale. Invece, ci si è trovati davanti a un gioco sorprendentemente rigido, quasi “a binari”, dove il semplice tentativo di uscire dal tracciato porta il giocatore a essere punito. La libertà promessa si rivela un miraggio.
Il risultato? Una città che sembra aperta ma non permette quasi nulla. Niente cambi rapidi di veicolo, niente siderali possibilità di personalizzazione, niente senso di scoperta. Solo bug, glitch e momenti involontariamente comici. Non stupisce che sia uno dei rarissimi casi in cui il PlayStation Store ha concesso rimborsi. Un segnale forte, inequivocabile.
Monster Hunter Wilds
E qui il discorso si fa più complesso. Perché Monster Hunter Wilds non è affatto un brutto gioco: anzi, è uno dei titoli più apprezzati dalla critica nel 2025. Ma la delusione nasce proprio da quell’aspettativa che solo i grandi possono generare.
La storia è più strutturata, il mondo più vivo, le creature magnifiche. Ma l’ottimizzazione su PC è stata pessima, e questo ha compromesso irrimediabilmente il rapporto tra i fan e il gioco al lancio. I contenuti post-release, poi, sono arrivati con il contagocce. E soprattutto, l’esperienza è stata appianata, semplificata, resa più accessibile ma anche meno profonda. Per molti veterani, Wilds è l’equivalente di un buon piatto servito senza spezie: corretto, curato, ma senza quell’anima che rendeva MTG un’arte della caccia e della strategia.
Splitgate 2
Nel caso di Splitgate 2, il problema non è la qualità assoluta. È la domanda che ha insegnato più di un mercato a duro prezzo: “perché esiste?”. Il seguito sembra dimenticarsi quasi del tutto ciò che aveva reso iconico il primo capitolo. Le mappe non valorizzano i portali, la semplicità del gameplay viene diluita da feature che sembrano un tentativo goffo di inseguire le mode del momento.
A questo si aggiunge una monetizzazione aggressiva, mal calibrata, che stona con un’esperienza che avrebbe dovuto puntare tutto sull’immediatezza e sulla freschezza. Il risultato è stato un reboot precoce, un ritorno allo stato di beta che suona come un passo indietro.
Tales of the Shire
Cosa poteva andare storto in un gioco ambientato nella Contea? Apparentemente molte cose. Tales of the Shire è un titolo che avrebbe dovuto incarnare la pace, la lentezza, la poesia di Tolkien. Invece, si presenta con un comparto artistico che pare uscito da generazioni fa, e con una performance tecnica che arranca tanto su PC quanto su console.
Il gameplay prova a essere rilassante ma diventa presto monotono. Le attività non brillano, la navigazione attraverso il “sistema delle farfalle” è più fastidiosa che poetica, e l’intero progetto sembra calibrato al ribasso. Un’occasione enorme mancata, soprattutto in un genere dove l’atmosfera è tutto.
Il 2025, insomma, ha dimostrato una volta di più che il videogioco è un medium capace di offrire vette straordinarie e cadute fragorose, spesso nello stesso anno, a volte nello stesso mese. Ma forse è proprio questo contrasto a renderlo così affascinante: un terreno instabile, mutevole, dove le aspettative pesano quanto le promesse non mantenute.
E allora aspettiamo il 2026. Non perché dimenticheremo queste delusioni, ma perché speriamo (testardi come solo i videogiocatori sanno essere) che qualcuno, da qualche parte, stia lavorando al prossimo capolavoro inatteso.