Nel corso della sua carriera, Lewis Hamilton è diventato il pilota più vincente di sempre: sette titoli mondiali, a pari merito con Michael Schumacher, e oltre cento vittorie. Numeri straordinari, ma il britannico è anche tra coloro che hanno attraversato il maggior numero di cambi regolamentari nelle diciannove stagioni disputate in Formula 1. E il prossimo anno lo attende una delle più grandi rivoluzioni nella storia di questo sport.
L’ultima rivoluzione, quella delle vetture a effetto suolo, ha diviso profondamente il paddock: pareri contrastanti, ma un punto fermo condiviso da quasi tutti i piloti, ovvero l’impossibilità di proseguire a lungo con monoposto così rigide e vicine al suolo. Per questo, pur senza particolare entusiasmo per il prossimo cambio regolamentare che vedrà vetture con meno carico, l’addio a questa generazione di macchine è stato accolto con sollievo.
Un cambio regolamentare che ha riportato Hamilton indietro di diversi anni, fino al 2009. Allora, come oggi, si assistette a una drastica riduzione del carico aerodinamico e a una semplificazione delle monoposto, nel tentativo di limitare gli effetti dell’aria sporca. Ma un’attenta lettura del regolamento consentì di sfruttare alcune zone grigie: fu così che anche i top team, improvvisamente, si ritrovarono costretti a inseguire.
Lewis Hamilton, Ferrari
Foto di: Clive Mason / Getty Images
“Nel 2009 dipendeva molto da come il tuo team interpretava quelle regole. Ricordo che nel 2009 in McLaren mi dissero che le regole prevedevano il 50% in meno di carico aerodinamico. Così costruirono la macchina per avere il 50% di carico. Ricordo di essere arrivato a gennaio e loro dicevano: abbiamo già raggiunto i nostri obiettivi. E io pensavo: wow, è normale?”, ha raccontato l’inglese.
“Arriviamo al primo test e non c’era carico aerodinamico, eravamo lontanissimi. E da quell’esperienza ho imparato molto. Poi il 2014 fu incredibilmente emozionante, anche perché ero in un nuovo team e potevo già vedere l’incredibile lavoro che era stato fatto un paio d’anni prima, soprattutto sul motore. Il 2017 fu bello perché la macchina era più grande, più larga e aveva più carico. Era fantastico. Questa generazione probabilmente è stata la peggiore, direi”.
Certo, è indubbio che vincere “curi” molte delle criticità di un regolamento mai davvero digerito. Tuttavia, ci sono aspetti che Hamilton ha contestato fin dal primo giorno: elementi poco compatibili con il suo stile di guida e che, come hanno sottolineato anche altri piloti, hanno esasperato queste monoposto fino a renderle pesanti da gestire sul lungo periodo.
Non è un mistero che Hamilton abbia sempre mal digerito questa estremizzazione: nel 2022 la Mercedes fu tra le monoposto più colpite dal , ossia quando la vettura sobbalza per una questione aerodinamica, così come quello del bottoming, quando una macchina va a strisciare sull’asfalto in maniera anche violenta, siano stati effettivamente contenuti, ma mai del tutto risolti.
Lewis Hamilton, Mercedes W13
Foto di: Mark Sutton / Motorsport Images
Dopo quattro anni, però, molti piloti concordano sul fatto che non sarebbe stato possibile proseguire a lungo con regolamenti così gravosi sul piano fisico. Non a caso, anche Alonso ha ammesso di aver sofferto di problemi alla schiena nelle ultime due stagioni.
“Penso che l’unica cosa con cui noi piloti non siamo stati davvero felici sia la quantità di rimbalzi. Le monoposto con effetto suolo devono girare il più basse possibile, ma per le nostre schiene, credo che siamo tutti d’accordo che sia stato duro. Non è sostenibile per un’intera carriera, quindi penso che sia positivo che si siano in qualche modo allontanati da questa soluzione”, ha detto Pierre Gasly.
Un elemento condiviso anche da uno dei debuttanti, Oliver Bearman, che ha conosciuto la Formula 1 quasi esclusivamente attraverso le monoposto a effetto suolo, dato che ha avuto modo di provare vetture della precedente generazione solo in pochi test. Il suo responso, però, è stato piuttosto diretto, non solo a livello fisico, ma anche tecnico.
“Sicuramente i rimbalzi, la guida e la scomodità di queste monoposto non mi mancheranno. Sono terribili, soprattutto arrivando da piste come Las Vegas, Messico e un po’ il Qatar. La rigidità con cui bisogna farle girare per ottenere prestazioni significa che scendi dalla macchina e non riesci a dormire la notte, tanto ti fa male la schiena. È una sensazione orribile quando guidi e i rimbalzi sono difficile anche da predire”, ha raccontato l’inglese.
Charles Leclerc, Ferrari, Oliver Bearman, Haas F1 Team
Foto di: Clive Rose / Formula 1 via Getty Images
“Quando parliamo puramente di prestazioni, puoi passare dalla FP3 con un certo carico di carburante e un certo livello di grip e la macchina va assolutamente bene, e poi arrivi in qualifica e all’improvviso inizi a rimbalzare e perdi un’infinità di tempo sul giro perché la fiducia cala in modo esponenziale. Perciò spero davvero che le vetture del prossimo anno non rimbalzino, soprattutto se voglio avere una lunga carriera in F1 perché, se continuano così, non credo che arriveremmo a correre a 40 anni”.
Nel 2026, con un fondo più piatto e privo delle complesse forme tridimensionali viste negli ultimi anni, non si esaspererà nuovamente l’effetto suolo né la necessità di correre il più vicino possibile al terreno e, infatti, la FIA non si attende ancora del porpoising. Questo comporterà anche l’addio agli assetti sospensivi estremamente rigidi, incapaci di assorbire in modo efficace cordoli e sconnessioni dell’asfalto.
Bearman ha giustamente sottolineato come queste monoposto, per la loro natura estremizzata e la sensibilità a fattori come altezza da terra, quantità di rimbalzi, tipologia di asfalto o persino le temperature, abbiano spesso messo in difficoltà i team. Non di rado, infatti, anche tra una sessione e l’altra, le squadre hanno faticato a trovare una chiave di lettura chiara delle prestazioni.
Tra gli aspetti meno graditi di questa generazione di monoposto, Hamilton ha sempre sottolineato le difficoltà legate al suo stile di guida. Con setup estremamente rigidi e gomme modificate, capaci di offrire meno supporto, la fase combinata, ovvero il momento in cui si frena mentre si sta già ruotando la vettura in ingresso curva, è diventata molto più complessa. L’inglese si è così trovato costretto a modificare uno dei tratti distintivi della sua guida. Un adattamento inevitabile, ma che conferma una certezza: queste vetture non gli mancheranno.
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