Un’esperienza familiare, un episodio dell’infanzia, un ricordo: da qui partono tante scrittrici italiane per raccontare storie personali o più “piccole”, spesso di abusi e prevaricazioni, sempre intrecciate con la grande Storia. Potremmo chiamarlo “realismo intimo”, un modo di narrare che va al di là dell’autofiction, fissando nero su bianco sentimenti, emozioni universali, la vita e la morte: l’essenziale in cui ognuno può riconoscersi, specchiarsi oppure mettersi in ascolto.
La gran parte di queste scrittrici ha tra i 40 e i 60 anni. Alcune sono anche le protagoniste delle trame che raccontano, e tante immaginano vite che le hanno toccate e segnate per mostrarle a chi legge. Non è possibile, in questo contesto e in un proliferare continuo di romanzi, tracciare un quadro completo, ma si può considerare questo primo appuntamento come punto di partenza, focalizzando l’attenzione sulla grande Storia che fa da spunto per il racconto.
La scrittrice come una studiosa
La preparazione di un romanzo è paragonabile, in alcuni casi, al lavoro di una studiosa o uno studioso che si muovono tra gli scaffali di una biblioteca, cercando le tracce di un avvenimento, per ricostruire un evento. Come in una caccia al tesoro, si trova un indizio, poi un altro, si incrociano dati, si consultano le fonti e si arriva alla storia finita, scritta con il punto di vista dell’autore.
Nel caso specifico dei romanzi, vengono tessute trame che rivelano non solo i nodi principali dei fatti, ma anche l’intimità dei soggetti coinvolti, analizzano i sentimenti, creando infinite possibilità di ascolto ed empatia nei confronti dei personaggi e in conseguenza delle persone. Chi legge queste storie ha sicuramente un’occasione in più per comprendere il prossimo, giudicarne il meno possibile le scelte, mettendosi nei panni di chi, attraverso le scrittrici, vive sulla pagina ogni passo della sua storia.
La Grande Storia entra in famiglia
Alcune scrittrici sono partite dalla Storia che ha segnato il nostro Paese, ha toccato la loro famiglia, e ancora lascia segni. È il caso di Francesca Melandri, che con il suo romanzo “Sangue giusto” (Rizzoli, 2017) e l’ultimo, “Piedi freddi” (Bompiani, 2024) ha toccato un argomento spinoso: la guerra e in particolare il periodo della colonizzazione fascista dell’Africa, la campagna di Russia e il conflitto in Ucraina.
La scrittrice ha raccontato la genesi del primo romanzo nel documentario “Pagine nascoste” (regia di Sabrina Varani, 2017): Francesca trova un articolo scritto dal padre in epoca fascista e scopre della sua adesione al regime. L’indagine la porta in Africa, studia a fondo tutto quello che si è sempre cercato di nascondere, visita i luoghi, le persone che hanno vissuto in quel periodo, registra racconti e testimonianze, documenti, consulta testi.
Da questo studio nasce il romanzo. La protagonista è Ilaria, che riceve, nel 2010, la visita di un ragazzo di colore che dice di essere suo nipote. La storia porta a tutte le contraddizioni di un rapporto di amore profondo per un padre che è stato sempre un punto di riferimento, saldo e senza macchia, che diventa all’improvviso un uomo con le sue debolezze, le sue colpe agli occhi di una figlia. E prende in esame, senza quel pudore che non racconta, non dice, nelle fonti ufficiali, un periodo buio della nostra storia nazionale, sotto l’aspetto politico e umano.
Sempre partendo da un’esperienza del padre, dalle memorie pubblicate nel 1956 e nel 1970 e dai racconti ascoltati, nasce “Piedi freddi”, romanzo di ricordi che oscilla tra due guerre – una passata, la Seconda guerra mondiale, e l’altra presente, in Ucraina – e permette all’autrice di ricostruire, ancora una volta, una parte importante della sua storia familiare. Melandri prende posizione in questo libro dalla struttura ben schematizzata che aiuta il lettore a orientarsi, dichiara quale sia, secondo il suo punto di vista, la parte sbagliata, così come i soldati che si ritiravano dalla Russia avevano capito l’errore e l’orrore.
Ancora una storia familiare, anzi, una scoperta, è alla base del romanzo “Le invisibili” di Elena Rausa (Neri Pozza, 2024): il bisnonno dell’autrice partecipa alla Campagna d’Africa trasferendosi con il figlio Arturo in Eritrea per lavorare. Nasce una nuova famiglia, quella da cui discende l’autrice, voce narrante di questo romanzo che ripercorre le vicende del passato nell’ascolto dei racconti di Arturo a Tobia, un ragazzo costretto a svolgere un lavoro socialmente e utile, e a Fatima, donna eritrea che lo aiuta in casa. Interessante l’indagine sull’epigenetica e sulla trasmissione transgenerazionale del trauma, che l’autrice ha studiato a fondo, documentandosi attraverso saggi e studi scientifici che sono poi alla base della sottotrama che muove i tanti personaggi del racconto.
Le storie nascoste nelle pieghe della Storia
La grande Storia è alla base di un altro romanzo, “Le assaggiatrici” di Rosella Postorino (Feltrinelli, 2018), che trae origine dalla scoperta casuale, in un breve articolo di giornale, della figura di Margot Wölk, una delle ultime assaggiatrici del Führer. L’autrice parte da questo piccolo indizio e si mette in cerca della donna: vuole intervistarla, capire, approfondire, ma purtroppo quando sta per raggiungerla Margot muore. Inizia qui il lungo periodo di studio, ricerca, analisi, che ha portato Postorino a tessere la trama di una storia indimenticabile.
Sono talmente tanti gli “indizi” che colleziona, da riuscire a entrare nell’intimità più profonda e contraddittoria del suo personaggio principale. Indaga sul mestiere stesso (che non tutti conoscono), sul senso di colpa (di lavorare, per necessità, per un dittatore del quale non si condividono le scelte) e sulla capacità di adattamento dell’essere umano pur di garantirsi la sopravvivenza. Rosa Sauer diventa strumento di conoscenza per il lettore di un aspetto importante della Storia meno raccontata e uno specchio per i sentimenti umani più contraddittori.
Anche “Il treno dei bambini” di Viola Ardone, uscito per Einaudi nel 2019, apre una finestra sulla Storia forse meno conosciuta del nostro Paese: nel dopoguerra, tanti bambini del Sud Italia più povero venivano prelevati, allontanati e affidati alle famiglie del Nord più abbienti. Viola Ardone scava e trova questi racconti che la Storia non considera e che si offrono a un’analisi della psicologia delle persone coinvolte. Il piccolo Amerigo è il tramite attraverso il quale l’autrice indaga il dolore che salva, l’inesorabilità di un destino che vuole la sofferenza in cambio di una vita migliore, la separazione dagli affetti come unico mezzo di sopravvivenza dignitosa. E ancora una volta, le ambivalenze insite nella natura umana, l’esperienza di lasciare i consanguinei e sperimentare un legame anche più forte con chi finisce per diventare famiglia.
Lo sguardo sulla violenza nelle relazioni
È del 2024 il secondo romanzo di Nicoletta Verna, I giorni di vetro (Einaudi), che inizia con l’omicidio Matteotti, nell’aprile del 1924 e si sviluppa nell’epoca di ascesa del fascismo. L’autrice ha raccontato una storia di prevaricazione maschile, sottomissione dei (delle) più deboli con cura, e la ricerca storica approfondita che è alla base delle vicende ha lo scopo di «…raccontare il passato per parlare della violenza del presente». La violenza come strumento di interazione e di relazione tra le persone, quell’istinto primordiale alla sopraffazione che porta il più debole, spesso, a soccombere pensando di non essere mai all’altezza.
In questo romanzo, non sono solo gli avvenimenti di quell’epoca a essere passati sotto la lente della scrittrice-studiosa, ma anche l’aspetto forse pregnante del romanzo, lo stile, caratterizzato dalla lingua delle due voci narranti, Redenta, una ragazza semplice, del popolo e Iris, maestra e partigiana. Verna ha studiato a fondo la lingua della Romagna (dove ambienta il romanzo), gli idiomi, il modo di esprimersi delle persone in quell’epoca, dando quindi ai personaggi un ulteriore spessore storico e individuale. La parlata semplice, quasi fanciullesca, di Redenta apre al lettore un mondo di suggestioni, pensieri, emozioni di una ragazza difficile, che vive ai margini della società. La scelta, invece, di far parlare Iris in maniera ricercata, scegliendo le parole, che costruiscono ragionamenti più complessi, rappresenta la consapevolezza di chi, grazie all’istruzione, soprattutto se donna, può evolversi e combattere un mondo maschile che tende a schiacciare personalità, desideri, ambizioni delle donne.
Il punto di vista delle donne, che scavano tra le pagine della Storia e cercano tracce di sé, della propria storia familiare, è solo uno degli aspetti di un realismo intimo che ha decine di declinazioni e ha come elemento comune il mettersi in discussione, vedere la propria esistenza come parte di un percorso più ampio, da studiare, approfondire sotto la lente della scrittura.
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Questa è la prima puntata di un viaggio per conoscere meglio le scrittrici italiane.
Consigli di lettura:
Francesca Melandri, Sangue giusto, Rizzoli 2017
Francesca Melandri, Piedi freddi, Bompiani 2024
Elena Rausa, Le invisibili, Neri Pozza 2024
Rosella Postorino, Le assaggiatrici, Feltrinelli 2018
Viola Ardone, Il treno dei bambini, Einaudi 2019
Nicoletta Verna, I giorni di vetro, Einaudi 2024
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