di
Guido Olimpio

Il direttore Thomas Ahrenkiel ha sottolineato il dilemma per gli europei visto che gli statunitensi sono il più importante alleato ma hanno aumentato le ostilità

Segno dei tempi. L’intelligence danese nel suo rapporto annuale ha indicato gli Usa come fonte di preoccupazione. Ad allarmare gli analisti l’offensiva sui dazi, le attività in Artico, la minaccia di ricorrere all’uso della forza anche contro gli alleati. Un riferimento, quest’ultimo, alle mire di Washington sulle risorse della Groenlandia.

Lo scontro con la Cina, aggiunge il report, crea situazioni di incertezza sul ruolo americano quali garanti della sicurezza in Europa. Le 64 pagine del documento fotografano un momento – con il duro attacco all’Unione Europea da parte della compagine Trump – e si agganciano ad una serie di fatti evidenti. Thomas Ahrenkiel, attuale direttore dell’intelligence danese, ha sottolineato l’evidente dilemma per i partner in Europa: gli Usa sono il più importante alleato ma al tempo stesso è cresciuto il tono di ostilità della Casa Bianca e di altri rappresentanti.



















































Copenaghen ha seguito con allarme una serie di iniziative “aperte” e “coperte” da parte di Washington. The Donald ha affermato che in un modo o nell’altro si “prenderà” la Groenlandia, il vice Vance ha compiuto un viaggio a riaffermare il target. Affermazioni pubbliche accompagnate, secondo i danesi, da attività non proprio trasparenti da parte di funzionari statunitensi: di fatto una missione di “influenza” all’interno del territorio rivendicato dagli Usa. A questo proposito il New York Times ha ricordato come in maggio siano trapelate indiscrezioni su operazioni e ricerche da parte dell’intelligence Usa sulla Groenlandia. Nelle relazioni disseminate all’interno dell’amministrazione sono aumentati i riferimenti diretti a questo settore strategico, un segnale di nuovi obiettivi fissati dal governo.

Il rapporto danese dedica poi spazio alla sfida rappresentata da Cina e Russia, considerate fonte di alto rischio. Pechino utilizza la pressione economica mentre Mosca si dedica alla “guerra ibrida”: il Baltico, rimarcano gli specialisti, è la regione dove ci sono le più alte possibilità di un uso della forza contro la Nato. Pericoli che riguardano settori dell’energia, cavi sottomarini, libera navigazione.

L’avviso lanciato da Copenaghen non è l’unico. Nelle scorse settimane sono emerse indiscrezioni sulla cautela (o diffidenza) da parte delle spie europei nei rapporti con la Cia. Gli olandesi hanno rivelato di aver ridotto lo scambio di informazioni, anche se hanno ribadito l’importanza delle relazioni con Washington. Londra si è chiamata fuori da qualsiasi azione nei Caraibi contro il Venezuela di Maduro e lo ha fatto sapere.

Le valutazioni “tecniche” da parte delle ombre si sono sommate a quelle dei diplomatici. Le posizioni di Trump, sbilanciate in favore dei russi nella crisi ucraina, e l’atteggiamento quanto mai ambiguo dei suoi negoziatori hanno alimentato montagne di sospetti. Basti ricordare le intercettazioni che hanno mostrato come l’inviato Steve Witkoff fosse di fatto sottomesso ai desideri del Cremlino. A chiudere il cerchio è poi arrivata la Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti dove l’Europa è stata dipinta come un avversario o qualcosa “da riformare”.

11 dicembre 2025