Il giudizio dell’America trumpiana sull’Europa suscita allarme ed è sulle prime pagine dei giornali da una settimana, essendo stato incapsulato nel documento della Casa Bianca sulla strategia per la sicurezza. Ma forse gli europei dovrebbero preoccuparsi di altro: il giudizio su di loro da parte dell’America anti-Trump non è affatto lusinghiero, come vedrete.

Trump passerà, forse sta già passando: la sua popolarità è in calo, gli ultimi test elettorali sono stati negativi per il suo partito, non a caso aumentano le faide tra repubblicani, le rivolte contro il presidente si fanno più frequenti. Perciò l’allarme per quel documento sulla sicurezza è probabilmente eccessivo: tra un anno ce ne sarà un altro, poi un altro ancora, scritto da chissà chi. Alcune reazioni inoltre tradiscono un evidente eurocentrismo. Di recente mi è stato proposto un evento intitolato “L’America contro tutti”. Ma Trump cerca – e in parte trova – un modus vivendi sia con la Cina (dove si recherà ad aprile) sia con la Russia; si possono contestare i prezzi che è disposta a pagare, ma descriverla «contro tutti» spaccia per globale un punto di vista europeo.



















































Ciò che dovrebbe preoccupare italiani e tedeschi, francesi e inglesi, non è Trump che passerà, ma il giudizio negativo sul «modello europeo» che viene da fonti molto diverse

Oggi vi fornisco due esempi, selezionati con cura. Il primo è un editoriale di Bret Stephens, opinionista non sospetto di simpatie per Trump, sul New York Times che è il principale organo dell’opposizione a questo presidente. Il secondo è un editoriale del Wall Street Journal, quotidiano economico tradizionalmente liberista, che ha sempre contrastato il trumpismo su due punti decisivi: il protezionismo e la chiusura all’immigrazione. 

Come potete leggere, questi due interventi sull’Europa da un’America anti-trumpiana sono durissimi. Dall’incapacità di difendersi – peggio: mancanza di volontà di difendersi – fino allo statalismo soffocante, ecco cosa pensa del Vecchio Continente «l’altra» America.

Bret Stephens sul New York Times:
«Se la Germania fosse invasa, secondo un recente sondaggio solo il 38 per cento dei suoi cittadini sarebbe disposto a combattere per il proprio Paese. Il 59 per cento non lo farebbe. In Italia, un altro sondaggio ha rilevato che appena il 16 per cento delle persone in età da combattimento prenderebbe le armi. In Francia, il generale Fabien Mandon, capo di stato maggiore dell’esercito, ha dichiarato il mese scorso a una conferenza dei sindaci che la nazione sarebbe “a rischio” se “vacilla perché non siamo pronti ad accettare di perdere i nostri figli”. Questa ovvietà ha scatenato una furiosa polemica politica. È in questo contesto che l’ultima Strategia di Sicurezza Nazionale dell’amministrazione Trump, pubblicata la settimana scorsa, è piombata sull’Europa come un colpo duro. Non è difficile capire perché. Secondo il documento, le principali priorità di politica estera degli Stati Uniti sono ormai concentrate sull’emisfero occidentale e sull’Asia. L’Unione Europea viene accusata di reprimere la libertà politica, sovvertire la sovranità nazionale, ostacolare il dinamismo economico, promuovere politiche migratorie che potrebbero portare a una “cancellazione della civiltà” e impedire una risoluzione pacifica della guerra in Ucraina. “Non è affatto evidente”, avverte il documento, “che alcuni Paesi europei avranno economie e forze armate sufficientemente forti per restare alleati affidabili”. Queste sono tesi dell’estrema destra europea. La Russia non viene mai trattata nel documento come un nemico degli Stati Uniti, così come l’Ucraina non viene mai considerata un alleato. Al contrario, i veri nemici, agli occhi della Strategia di Sicurezza Nazionale, sono i migranti e i burocrati, decisi a distruggere ciò che resta di un’Europa autentica. È facile liquidare la Strategia come inquietante ma poco seria: non ha valore legale e la sua prosa sembra scritta dal personaggio di Otto in Un pesce di nome Wanda, il bullo americano permaloso e ottuso interpretato con perfezione farsesca da Kevin Kline. Ma, come accade con molti altri argomenti populisti di destra o di sinistra, il problema della Strategia sta meno nelle sue falsità che nelle sue mezze verità. Individua molti dei problemi centrali, ma propone le peggiori soluzioni. Tra i problemi centrali: l’Europa rappresenta una quota sempre più ridotta dell’economia globale, soprattutto nei settori del futuro. Dove sono gli equivalenti europei di Nvidia, Microsoft, Meta, SpaceX, Amazon o Apple? L’immigrazione di per sé non è necessariamente un problema; semmai è un rimedio al flagello del calo delle nascite nei Paesi ricchi. Ma l’immigrazione senza assimilazione è una maledizione, soprattutto quando i migranti hanno valori indifferenti o ostili a quelli del Paese che li accoglie. Gli eserciti piccoli possono essere ingranditi cambiando le priorità di bilancio. Ma l’elemento decisivo per il successo militare non è il denaro: è la volontà di combattere. Tranne che negli Stati di prima linea come Finlandia ed Estonia, l’Europa sembra non averla… Tutto ciò dovrebbe suonare come una sveglia, soprattutto per quei settori delle classi politiche europee che si credono capaci di trasformare le loro fantasie in realtà. Non lo sono. Il loro compito è tenere lontani gli incubi. La politica europea di questo secolo si è in gran parte fissata su cliché che soffocano la crescita economica, come lo “sviluppo sostenibile”; su gesti di politica estera velleitari, come il riconoscimento di uno Stato palestinese che non esiste; su politiche ambientali autodistruttive, come la decisione della Germania di chiudere le centrali nucleari; e su un atteggiamento di esibizionismo morale verso l’immigrazione di massa, sintetizzato dal “ce la faremo” di Angela Merkel, che è la ragione principale dell’ascesa di partiti di impronta fascistoide come Alternative für Deutschland. Tutto questo deve finire. Che cosa dovrebbe prendere il suo posto? Una visione fredda di ciò che l’Europa deve fare per proteggere sé stessa in un mondo in cui non ha più protettori. Un riarmo su vasta scala. La fine di progetti di energia verde che producono dipendenza e aggravano i costi. Una politica migratoria sul modello danese, più severa su chi può entrare, chi deve andarsene e su ciò che gli immigrati devono fare per integrarsi. Un ritorno allo scopo originario e nobile dell’Unione Europea: aprire i mercati e favorire la concorrenza, non essere una fabbrica di regolamenti. Soprattutto, una rivoluzione civica per persuadere i giovani europei che la loro eredità, la loro cultura e il loro stile di vita, una civiltà fondamentalmente cristiana temperata e migliorata ma non cancellata dai valori dell’Illuminismo, meritano di essere difesi. … Dovrebbe essere evidente. Se l’Europa non è questo, cos’è? Se non è questo, perché qualcuno dovrebbe andare in guerra per difenderla? Se non è questo, che cosa le impedisce di diventare semplicemente un’estensione della civiltà di qualcun altro, che sia quella americana, russa o islamica? …»

Quello che segue invece è l’editoriale odierno della direzione del Wall Street Journal, intitolato “La vera ragione per cui l’Europa sta decadendo”:
«I leader europei sono furiosi con il presidente Trump dopo i suoi recenti commenti sprezzanti sul Continente. Sta diventando un fiasco diplomatico istruttivo, anche se è un caso in cui il dottor Trump sbaglia la diagnosi dei problemi più gravi dell’Europa. L’ultima Strategia di Sicurezza Nazionale dell’amministrazione, pubblicata la settimana scorsa, ha suscitato indignazione avvertendo che gli alleati europei dell’America rischiano una “cancellazione della loro civiltà”. I grandi sacerdoti della politica estera di Trump intendono soprattutto dire che l’immigrazione di massa e una crescente illegittimità politica stanno prosciugando l’energia e la vitalità dell’Europa. Questa settimana Trump ha rincarato la dose definendo l’Europa “debole” e “in decadenza”. La strategia, frutto del vicepresidente JD Vance e del suo entourage, lascia intendere che gli Stati Uniti potrebbero ritirarsi dalla loro storica cooperazione in materia di sicurezza con l’Europa se Washington decidesse che l’Europa non vale più la pena di essere difesa. Una minaccia particolare riguarda la Nato. Il documento strategico avverte che l’immigrazione di massa, in altre parole musulmana, significa che entro pochi decenni alcuni membri della Nato potrebbero avere una popolazione a maggioranza non europea. Trump e Vance non hanno tutti i torti. L’Ue fa male troppe cose, dalla politica estera alla regolamentazione ambientale. È fallimentare nella sua missione principale, creare un’area di libero scambio continentale. Gli elettori europei sono arrabbiati per l’incapacità dei loro leader di risolvere una crisi migratoria ormai entrata nel suo secondo decennio. Sono frustrati dal divario crescente di prosperità tra Europa e Stati Uniti e dalla fragilità europea di fronte a sfide esterne come la guerra della Russia in Ucraina. Peggio di tutto, vedono che il primo istinto dei loro governanti è reprimere le opinioni contrarie, ed è per questo che la libertà di espressione è tornata a essere un tema caldo in Europa. Tutto questo riflette in parte quella mancanza di fiducia nella civiltà europea che l’amministrazione Trump osserva. Molto di ciò deriva dalla perdita di fede nella superiorità dei valori occidentali, il senso di colpa per l’imperialismo e per le guerre distruttive del Novecento. Ma la diagnosi di Trump ignora la minaccia più grande al benessere europeo: gli Stati sociali generosi, i danni economici che producono. Secondo i dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, la spesa sociale a carico del settore pubblico negli Stati Uniti nel 2024 rappresentava il 19,8 per cento del Pil. In Francia la quota era del 30,6 per cento, in Germania del 27,9 per cento e in Italia del 27,6 per cento. … Questo dato spiega gran parte dei mali dell’Europa. Stati sociali ampi richiedono entrate fiscali elevate per essere finanziati, ed è per questo che le entrate pubbliche raggiungono il 47 per cento del Pil in Francia, il 41 per cento in Germania e il 43 per cento in Italia, contro il 27 per cento negli Stati Uniti. Un livello di tassazione simile indebolisce gli incentivi all’innovazione e all’imprenditorialità. Gli Stati sociali generosi scoraggiano anche il lavoro, il che spiega in parte perché i mercati del lavoro europei siano così sclerotici. Nel frattempo i governi europei fanno fatica ad aumentare la spesa per la difesa. Da qui la loro incapacità di influenzare gli eventi in Ucraina, che imbarazza leader ed elettori e approfondisce il senso di apatia generato dalla scarsa performance economica… Washington anche esercitare un’influenza positiva sull’Europa, come fecero le politiche di Reagan negli anni Ottanta. La richiesta di Trump di aumentare la spesa per la difesa imporrà riforme del welfare che andrebbero a beneficio di tutti. Ma un’ironia della retorica Trump-Vance è che potrebbe aggravare la maggior parte dei problemi europei. Gli alleati politici interni che vogliono coltivare in Europa, come Alternative für Deutschland in Germania o il Rassemblement National in Francia, sono partiti statalisti e ostili alle riforme economiche, e spesso anche istintivamente antiamericani. Non è questo il modo di farsi amici o di favorire una rinascita europea». 

12 dicembre 2025, 16:18 – modifica il 12 dicembre 2025 | 16:28